Maria Grazia Carriero: “artista è colui che sa cogliere le sfumature”
Prosegue fino al 29 giugno Hunting Evil, la personale di Maria Grazia Carriero, curata da Nicola Zito, presso lo Spazio Microba di Bari

Prosegue fino al 29 giugno Hunting Evil, la personale di Maria Grazia Carriero, curata da Nicola Zito. Ospitata dallo Spazio Microba di Bari, e organizzata in collaborazione con l’Associazione culturale Achrome, la mostra è una ricerca antropologica e artistica intima, attraverso la superstizione, i riti e gli amuleti apotropaici. Un viaggio nel mondo delle tradizioni popolari, fatte di culti e antiche credenze, parte importante della storia di intere comunità e “persistenza di un pensiero ‘magico’ in una società culturale estremamente votata alla tecnologia che apparentemente respinge le credenze, ma che tuttavia ad esse ricorre”.
Maria Grazia Carriero è nata a Gioia del Colle (Ba) nel 1980 ed è artista e docente di Discipline Pittoriche. Si forma in Arti visive e discipline per lo spettacolo, indirizzo pittura, presso l’Accademia di Belle Arti di Roma. Instancabile viaggiatrice, matura un’importante esperienza a Marrakech. Passa dalla pittura alla fotografia, alla videoarte e alle installazioni. Comune denominatore della sua ricerca è la virtualità, concetto filosofico indagato attraverso l’analisi della cultura popolare, delle credenze e delle pratiche ascetiche.
Abbiamo colto l’occasione di questa mostra per conoscerla un po’ di più. E per farla scoprire a voi.
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Cinque domande a Maria Grazia Carriero
Cosa è l’arte per te?
L’arte è la concretizzazione di un pensiero, è lo sviluppo visivo – sensoriale di alcuni aspetti legati all’uomo e alla vita filtrati dalla sensibilità dell’artista. L’arte per me è riflessione, osservazione, analisi, studio, sedimentazione di emozioni e di contenuti. Quando ho un’idea, quell’idea si impossessa di me, non faccio altro che pensare alla sua elaborazione, con la mente configuro tutte le soluzioni possibili per poterla esprimere al meglio, successivamente i bozzetti alleviano quella necessità di vederla nascere.
Ho sempre molte idee, ma dalla scintilla che si accende dentro di me, sino alla sua realizzazione finale passano anche degli anni o in alcuni casi, restano progetti. Mi piacciono le sfide e l’arte è una continua sfida con me stessa, ho sempre voglia di esplorare e di mettermi alla prova, superando i confini dei territori battuti dalla mia mente; per questo motivo lo sconfinamento disciplinare con l’antropologia e l’etnografia nutrono quella necessità di ricerca che ben si sposa con l’interesse verso determinate tematiche.
Qual è stato il preciso momento in cui ti sei sentita, anche se a livello primordiale, artista?
Ogni qualvolta dalla scuola dell’infanzia alla secondaria di primo grado mi dicevano: “questo disegno non l’hai fatto tu, sicuramente te l’ha fatto qualcuno a casa”. Questi commenti all’epoca mi facevano imbestialire, di certo non mi facevano pensare di essere un’artista. Né tantomeno la vedevo come una prerogativa per diventarlo. Per esempio oggi comprendo che già in tenerissima età avevo una capacità di osservazione molto sviluppata e a tal proposito vorrei condividere questo episodio.
Avevo circa 5 anni e la maestra ci chiese di disegnare e colorare una mela dal vero. Tornai a casa presi una mela e dopo averla disegnata iniziai a colorarla. Ricordo che non era completamente gialla, verde o rossa. Aveva delle aree leggermente rosse, altre verdi, altre gialle e un po’ marroni. Quella mela aveva molte sfumature e qualche puntino nero. Ricordo bene questi dettagli perché il mio disegno non fu appeso in classe insieme a tutti quelli realizzati dai miei compagni, proprio perché aveva in sé tanti colori (probabilmente miscelati tra loro come fanno tutti i bambini a quell’età). La maestra infatti mi disse: “le mele non sono così!”. E con molta disinvoltura mi disse che non andava bene, pertanto non venne appeso in classe. Oggi, ai miei studenti del liceo artistico non faccio altro che sottolineare quanto sia importante osservare e analizzare ciò che ci circonda con sguardo attento e non superficiale. Tutto ciò che ci circonda merita attenzione. Soprattutto la natura e le sue innumerevoli sfumature.
Da cosa (o da chi) trai spunto per la tua arte?
Sono affascinata dai fenomeni che mettono in relazione visibile ed invisibile, secondo l’accezione di Pierre Levy in cui contrappone virtuale a attuale e possibile a reale, definendole modalità dell’essere. Il virtuale, dunque, non è il contrario di reale, ma un modo di essere fecondo schiudendo prospettive future. Scavando nuove possibilità di senso in contrapposizione alla realtà fisica immediata.
I fenomeni legati alla realtà dell’uomo, alla memoria, alle relazioni che intercorrono tra soggetto / oggetto / simbolo e potere evocativo, magico e apotropaico, sono il punto di ispirazione per la mia ricerca artistica. Mi interessa osservare la persistenza di un “pensiero magico”in una società culturale estremamente votata alla tecnologia, che apparentemente respinge le credenze, e tuttavia ad esse ricorre.
Le tre opere che ti rappresentano di più e perchè
È difficile per me dire quali opere mi rappresentino di più. Ogni opera scaturisce da un periodo storico ben definito. E’ la risultante di vari processi personali e formativi. Ogni opera porta con sé una parte di me che mi rappresenta. Indubbiamente le opere più recenti sono sempre quelle che più rispecchiano come sono oggi. Ma se non ci fossero state le opere precedenti non ci sarebbero quelle attuali.
Probabilmente il mio saggio Arte e ricerca etnografica. Il laùru: i luoghi, gli incontri, le testimonianze. Ed. Progedit (collana Antropologia e Mediterranea diretta dal prof. Eugenio Imbriani) è l’opera che attualmente più mi rappresenta, in essa confluiscono tutte le altre.
Arte e ricerca etnografica
Prossimi progetti
L’11 giugno presso il Palazzo Pantaleo di Taranto ci sarà un talk sull’Antropologia Visiva. In questa occasione presenterò due video, interverranno: Nicola Zito (storico dell’arte e Dottore di Ricerca, collabora presso la Cattedra di Storia dell’Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Bari), Alessandro D’amato (funzionario demoetnoantropologo Soprintendenzadenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Lecce, Brindisi e Taranto), Antonio Basile (direttore scientifico museo etnografico Alfredo Majorano, docente In antropologia culturale Aba di Lecce). Altri progetti inediti sono pronti per uscire allo scoperto, ma al momento non rivelo nulla. Come si suol dire: follow me, stay tuned!
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Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.