Il “disobbediente” street artist Shepard Fairey, aka Obey, in mostra alla GAM di Roma
Last Updated on 01/10/2020
Trent’anni di dissenso e di lotte portate avanti a colpi di colla e di spray. Tutto questo e molto altro è Obey, street artist tra i più acclamati al mondo. Per celebrare questo prestigioso traguardo ha deciso di regalarsi, e regalarci, una mostra, presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma, dove la sua arte si confronta e si scontra con l’arte contemporanea italiana...

La street art può dialogare con l’arte italiana del XIX e del XX secolo? E se sì, in che modo? A queste complesse e audaci domande prova a rispondere la mostra intitolata Shepard Fairey. 3 decades of dissent. Nella suggestiva location della Galleria d’Arte Moderna di Roma, il noto artista statunitense, conosciuto anche con lo pseudonimo di Obey, ha voluto portare un’esposizione con un concept unico e dal forte impatto visivo. Presenti alla GAM, dunque, troverete trenta delle sue più recenti opere inedite, tutte realizzate nel 2019. Con le quali prova a sintetizzare e ricostruire i suoi trent’anni di carriera.
La mostra, visibile al pubblico fino al 22 novembre, è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Crescita Culturale, Sovraintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dalla galleria Wunderkammern. Ed è organizzata in collaborazione con Zètema Progetto cultura.
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Le opere in mostra
La particolarità di questa mostra è data dal fatto che lo stesso Shepard Fairey si è cucito addosso i panni del curatore. E ha inoltre voluto che i suoi lavori fossero vicini sia fisicamente che anche concettualmente ad alcune importanti opere della collezione d’arte contemporanea della Sovraintendenza Capitolina. In tempo di Covid-19 era impossibile per lo street artist californiano venire a Roma per creare l’allestimento ed è stato dunque importantissimo il lavoro svolto dai curatori, Claudio Crescentini e Federica Pirani di Wunderkammern Gallery.
Il ritratto di Barack Obama
Entrando alla GAM, a darci il benvenuto a Shepard Fairey. 3 decades of dissent, è il famoso poster intitolato Hope nel quale troviamo, oltra a questa potentissima parola (speranza in inglese), il ritratto di Barack Obama, quarantaquattresimo presidente degli Stati Uniti d’America. Era il 2009 e questa emblematica immagine in quadricromia è entrata prepotentemente nel nostro immaginario collettivo. Sdoganando Obey e rendendolo, di fatto, uno degli street artist più conosciuti e apprezzati al mondo.
Molto di più che un semplice poster di propaganda elettorale (mai riconosciuto come ufficiale dall’entourage di Obama) Hope diventa un’immagine iconica capace di trasmettere un messaggio universale. Lo stesso Obama ha sentito la necessità di ringraziare pubblicamente l’artista per la vittoria conseguita alle presidenziali USA. Shepard Fairey ha sempre fatto del dissenso, nell’eccezione più estesa del termine, uno dei pilastri della sua creatività e della sua sconfinata produzione artistica.
I temi ricorrenti nella produzione artistica di Obey
Importanti temi come la lotta per la pace e l’uguaglianza razziale, la difesa della dignità umana, la salvaguardia ambientale del nostro pianeta ricorrono spesso all’interno dei lavori di Obey. Questa mostra, frutto di un anno di lavoro tra Fairey e Wunderkammern, ha la straordinaria capacità non solo di creare importanti riflessioni nella mente dello spettatore, ma anche delle vere e proprie “interferenze d’arte”. Rapporti concettuali, iconografici e tematici che il grande street artist ha voluto intenzionalmente creare per la GAM. I lavori e i temi a lui cari mirano a dialogare con le opere della collezione d’arte contemporanea della Sovrintendenza Capitolina. Vengono così costruiti dei percorsi visivi con i quali il pubblico sarà chiamato ad interagire e confrontarsi durante tutto il corso della mostra.
Il ritratto stilizzato del famoso wrestler André de Giant
Secondo la visione da vero street artist quale è Obey, lo spettatore non può e non deve subire passivamente la realtà che lo circonda. Anzi, è invitato a riflettere ed esortato a diventare parte attiva del cambiamento. Nella ricerca di una società più equa e giusta i muri dei palazzi nelle strade delle città di tutto il mondo diventano quindi i luoghi dove far nascere e sviluppare la sua personale “propaganda artistica”. Obey è, e resterà per sempre, legato al suo primo soggetto, il ritratto stilizzato del famoso wrestler André de Giant. Il percorso artistico di Fairey ha infatti inizio nel 1989 con la celebre campagna di sticker e poster “André the Giant Has a Posse”. Quando i muri di moltissime città americane sono stati letteralmente colonizzati dal volto del grande campione di lotta. La mostra non poteva che iniziare con il tributo a questo personaggio. Al primo piano della GAM troviamo quindi due grandi opere realizzate in serigrafia e collage a tecnica mista denominate Andre Hendrix. Il volto del wrestler è abbinato a colori sgargianti e psichedelici tipici della fine degli anni ’60.
Brown Power, Jesse Jackson e Angela Davis
Fairey si è sempre definito un militante e il suo stile, per molti versi audace ed iconico, è fortemente improntato sulla idealizzazione delle immagini. Così, proseguendo all’interno della mostra, ecco fare capolino Jesse, ritratto del volto del Reverendo Jackson. Questo fa parte della serie “Brown Power” e, subito vicino, trova la sua naturale collocazione anche Angela dedicato ad Angela Davis, attivista del movimento afroamericano statunitense.
Entrambe le opere hanno un forte richiamo all’immaginario degli anni ’60 e ’70 e in particolare è netto il riferimento al movimento Black Power. Questi due volti ci portano lontano nel tempo ma anche all’attualità e ci ricordano quanto, ancora oggi, sia sentito e reale il problema della diversità razziale. Negli Stati Uniti, ma non solo. Vicino a queste due opere, che presentano i colori tipici delle bandiere africane (il nero, il rosso e il verde), prende posto Comizio a Porta del Popolo, un olio su tela realizzato nel 1955 dal pittore italiano Giulio d’Angelo. Le “interferenze artistiche” di questo tipo, tra le opere di Obey e gli artisti italiani del XIX e XX secolo, continuano e si susseguono negli altri due livelli dell’esposizione.
Le opere di Obey in dialogo con altre di artisti italiani
Ecco quindi che, ad esempio, l’inquietante poster Big brother is watching you si connette con Il dubbio di Giacomo Balla. Oppure che Donna alla toletta di Antonio Donghi faccia da contraltare a Commanda, dove l’artista americano ritrae sua moglie che brandisce una bomboletta spray. In questo continuo rimando di suggestioni stilistiche e artistiche tra i lavori dello street artist con il mare magnum dell’arte contemporanea italiana è dunque possibile che Fiori, un bellissimo olio su tela di Enrico Lionne, venga accostato a Rose Schakle di Obey o che il “pacifista” poster in serigrafia Make Art Not War prenda posto vicino alla Santa Cecilia di Erulo Eroli.
Un appuntamento imperdibile per chi ama la street art
Shepard Fairey. 3 decades of dissent è, senza ombra di dubbio, un appuntamento imperdibile per tutti gli appassionati della street art e di questo brillante artista americano. Ma è anche un evento consigliatissimo a tutti gli amanti dell’arte in generale. Ricordiamo, infine, che quest’audace mostra fa parte di Romarama, una fitta agenda di eventi culturali promossa da Roma Capitale che ci accompagnerà fino alla fine del 2020. Vi siete mai chiesti se la street art e l’arte contemporanea italiana hanno qualcosa in comune? Obey sì e alla Galleria d’Arte Moderna di Roma ha provato a dare la sua risposta.
Le foto della mostra
Foto di Giorgio Silvestrelli
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Giorgio Silvestrelli nasce ad Ancona in un caldo giovedì di giugno all’inizio degli anni ’80.
Consegue una Laura Magistrale in Scienze della Comunicazione presso la facoltà di Macerata. Dal 1992 inizia ad appassionarsi ai Graffiti e Aerosol Art. Freelance nel mondo della comunicazione, copywriter, appassionato di arte contemporanea e profondo conoscitore della street art, legge e colleziona fumetti sin dalla più tenera età, ama il cinema e i videogames. S’interessa di art toys, molto più che semplici giocattoli. Parla correntemente inglese e ascolta principalmente black music.