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Il Grande Cinema a Roma – “Il conformista” (1970)

Uno dei migliori film di Bertolucci, tratto da un romanzo di Moravia, con Jean-Louis Trintignant e Stefania Sandrelli, è una profonda analisi dell’Italia fascista

Sono passati pochi mesi dalla sua scomparsa, ma la memoria del maestro Bertolucci resterà sempre viva grazie a capolavori che non hanno mai perso la loro forza col passare del tempo. Ne hanno anzi acquistata, se possibile, come memorandum di ciò che è stato e ciò che noi siamo stati in un passato che non è poi così lontano, ma che si fatica a ricordare. Ne “Il conformista” il regista tocca uno dei punti più alti della sua intera carriera, firmando un capolavoro per narrazione e tecnica.

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La trama

Marcello è un professionista benestante ed è in procinto di sposare la bella e spensierata fidanzata Giulia. Nonostante la facciata impeccabile, la sua vita è però tutt’altro che perfetta: suo padre, ex squadrista, è rinchiuso in manicomio, mentre sua madre oppiomane ha una relazione con l’autista. Ma soprattutto, Marcello si porta dentro un trauma sin dall’infanzia, quando, per sfuggire allo stupro, ha fatto fuoco e ucciso il suo assalitore. Da allora il peso di questo segreto lo ha fatto sentire diverso dagli altri, spingendolo a cercare in ogni modo di omologarsi alla massa, di conformarsi.

Il conformista – Palazzo dei congressi

Nel disperato tentativo di integrarsi nell’Italia fascista, Marcello si offre spontaneamente di partire in missione per conto della polizia segreta: l’obiettivo è un suo ex professore di filosofia, ora dissidente, che vive a Parigi. L’uomo parte subito per la capitale francese, con sua moglie ignara, usando il viaggio di nozze come copertura. Al loro arrivo, però, le cose non andranno come previsto e un inaspettato triangolo amoroso rischierà di mandare in fumo il piano.

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La Roma de “Il conformista”

Il film è narrato attraverso salti temporali tra momenti diversi della vita del protagonista: l’infanzia, il periodo in cui Marcello organizza il matrimonio e, parallelamente, la sua missione, il viaggio di nozze a Parigi e infine l’epilogo, qualche anno dopo, durante la caduta del fascismo. Ad eccezione della parentesi francese, tutte le altre vicende hanno luogo nella Capitale, ed ognuna di loro ha un’ambientazione e una fotografia ben definite. Per le scene legate ai ricordi d’infanzia le location sono Villa Celimontana e Villa Miani, con i loro parchi verdi e luminosi. Per la parte legata alla pianificazione della missione, ambientata durante la dittatura fascista, la scelta di usare principalmente gli edifici razionalisti dell’EUR è quasi ovvia, ma non è scontato l’uso che un maestro della fotografia come Vittorio Storaro fa della luce che filtra all’interno di questi enormi spazi gelidi e semibui. L’impressione è che man mano che la vicenda vada avanti, tutto si faccia più cupo, nel protagonista, nel volto di sua moglie e nell’ambiente stesso. Il finale, infatti, è quasi totalmente nero: dentro casa qualche debole luce delinea i contorni degli attori, mentre fuori, nelle ultimissime scene tra le colonne del Teatro Marcello, un fuoco arde e proietta sul volto del protagonista una luce infernale.

Il conformista – EUR

Il nostro commento

Al picco della maturità artistica, Bertolucci sfiora la perfezione con un film politico ma non retorico, visivamente notevole e dalla regia ispirata. Attraverso la vicenda di Marcello, il regista fotografa perfettamente gli anni del Fascismo, e smaschera chi, per codardia o semplicemente per sentirsi come tutti gli altri, ha lasciato che certe cose accadessero. Il conformismo è il silenzio/assenso di chi assiste impassibile all’orrore, di chi si allinea alla maggioranza, anche quando la maggioranza cambia strada. Il conformista non dissente e emargina chi lo fa, come il padre di Marcello, rinchiuso in manicomio per essersi pentito di aver preso parte alle azioni squadriste.Il regista non fa sconti per nessuno, neanche per sé stesso e inserisce nel film dei dettagli che avvicinano il personaggio del professore al suo amico/nemico Godard, maestro della Nouvelle Vague e del cinema politico, che aveva accusato Bertolucci di non essere sufficientemente “impegnato” nel suo cinema. Kill your idols, uccidi i tuoi idoli. E mentre Marcello uccide il suo maestro (in realtà è troppo vigliacco per farlo, si limita a lasciarlo accadere), Bertolucci mette in scena un’uccisione simbolica del suo, per affermare la propria autonomia.

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