“Le relazioni preziose” di Chiara Tartagni – La recensione
Last Updated on 28/11/2019
“Le relazioni preziose” di Chiara Tartagni, edito da Jimenez, indaga rapporti inediti tra passato e presente, fili di storia e storie che uniscono film, libri, artisti e personaggi

Pochi gradi di separazione
L’autrice traccia percorsi che vanno a scavare le radici della nostra modernità. Quello che emerge è un affresco ricchissimo di figure; un mare di spunti per ulteriori esplorazioni. C’è un vero e proprio gioco nella ricerca dei gradi di separazione tra artisti e media antichi e moderni. E gli accostamenti sono inediti: il pittore Hogarth diventa fonte del Free Cinema inglese o di Robert Altman; o lo spirito di Napoleone Bonaparte aleggia sulle “arche” sokuroviane o sul cinema dei fratelli Taviani. E ancora: Napoleone e la Rivoluzione ci portano nella Napoli del 1799, anno della tragica vicenda di Eleonora Pimentel Fonseca. La Repubblica Partenopea è protagonista del bellissimo film di Antonietta De Lillo, Il resto di niente, uno dei picchi del “rinascimento” napoletano tra gli anni ’90 e gli anni Zero, tratto da uno dei più bei romanzi del secondo Novecento italiano.
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Da Marie Antoinette a Casanova
Dalla Maria Carolina regina di Napoli alla sorella Maria Antonietta di Francia in passo è breve. Marie Antoinette è il meraviglioso stravagante film di Sofia Coppola, ambientato in un Settecento fashion e post-punk. Nella pellicola antico e moderno si fondono in maniera inedita, tra canzoni di Strokes e Gang of Four e metafore contemporanee. Il Settecento però è anche quello dei libertini usciti dalla penna di Laclos. Le relazioni pericolose, oltre a fornire il gioco di parole per il titolo del libro, al cinema funziona molto bene. Il diciottesimo è anche il secolo dei philosophes e dei grandi moralisti. Il Settecento, insomma, è il compimento del moderno e l’incunabolo del contemporaneo; ma è anche l’epoca dell’arci-italiano Casanova di Fellini, o del Don Giovanni “gramsciano” e al contempo “palladiano” di Joseph Losey (un regista di cui si parla sempre troppo poco: è bello ritrovarlo nel libro).
Kubrick e Greenaway
E poi ci sono due capolavori: Barry Lyndon di Stanley Kubrick e Il ventre dell’architetto di Peter Greenaway. Ma nel cinema di Kubrick il diciottesimo secolo non entra solo nel film del 1975. Tutta la filmografia del regista statunitense è per Tartagni “una storia settecentesca”. L’intuizione è notevole. Dai riferimenti velati in molti film (Orizzonti di gloria su tutti), arriviamo fino al grande progetto del Napoleone. Quest’ultimo è un non-film preparato tutta la vita e mai realizzato; impresa titanica che parte da Abel Gance e raccoglie tutto lo scibile sull’imperatore: un capolavoro già allo stato teorico. A fare da pendant c’è il film di Greenaway, forse il suo più bello, insieme ai Misteri del giardino di Compton House (che non è un film “settecentesco” per una manciata di anni nell’ambientazione).
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Il Settecento e noi
Ci sarebbero da fare altri nomi, tra i moltissimi che si incontrano leggendo il libro, che è davvero ricco di spunti: il Settecento come momento aurorale della contemporaneità, il Settecento illuminista, il Settecento scientifico, il Settecento dei vedutisti e la nascita di un realismo nuovo, di uno “sguardo” diverso. Ma soprattutto il Settecento che ancora ci parla, anche attraverso il cinema. Ad unire i punti del diciottesimo secolo, insomma, si disegna la contemporaneità.
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“Come saremmo colti se conoscessimo bene solo cinque o sei libri”, scriveva Flaubert.
Luca Verrelli cerca di essere un buon lettore.
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