Intervista a Chiara Tartagni: il Settecento tra cinema e storia
Intervista a Chiara Tartagni, autrice del libro “Le relazioni preziose”, saggio sulla rappresentazione cinematografica della cultura del Settecento.

Le relazioni preziose, edito da Jimenez, è un saggio sui rapporti tra la cultura e l’arte del Settecento nelle loro rappresentazioni cinematografica; è un libro che indaga le relazioni tra presente e passato alla ricerca delle radici della modernità. Abbiamo fatto qualche domanda sul libro all’autrice Chiara Tartagni.
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Come nasce l’idea del libro? Perché il Settecento?
Amo tutto ciò che è settecentesco da quando avevo 13 anni, per la precisione da quando vidi per la prima volta Amadeus. Una passione che non mi ha mai lasciata e che mi ha portata poi a chiedermi se quelle che mi sembravano solo splendide coincidenze non costituissero invece un sistema per nulla casuale.
Il Settecento è un secolo in cui la Storia ha un’“accelerazione” verso la modernità. Quale film, secondo te, ha meglio rappresentato questo “salto”?
La nobildonna e il duca di Rohmer, che ci mostra la Parigi rivoluzionaria con l’ausilio di due strumenti apparentemente agli antipodi: la pittura e il digitale. La si può vedere come la prova che l’unica cosa a separare il Settecento e l’oggi è l’evoluzione tecnologica.
Un libro di qualche anno fa ribadiva l’attualità dell’illuminismo; in cosa il XVIII secolo, ancora oggi, ci parla?
Nel XVIII secolo ebbe inizio tutto quello che per noi è modernità: il potere dell’informazione, il peso dei sentimenti e dei diritti umani, il valore dello sguardo. Nacquero quei dispositivi ottici antenati del cinema che promuovevano una nuova modalità visiva e di conseguenza anche una nuova visione del mondo. Per questo, alcuni registi esplorano il Settecento nei propri film con un intento “politico”, inteso come interesse civile.
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Nel libro c’è molto spazio alla questione di genere, alla rappresentazione dell’immaginario maschile e femminile nella “mitologia” settecentesca. In quest’ottica ci vedo due poli: Casanova ed Eleonora Fonseca Pimentel. Come hai affrontato questa questione? E il Settecento, nel cinema e oltre, è più il secolo di Casanova o di Eleonora Fonseca?
Il Settecento è il perfetto secolo binario: appartiene sia al Casanova felliniano, che il regista ci propone come prototipo negativo del maschio italiano, sia a Eleonora, personificazione femminile dell’idea di progresso. Combattono su lati opposti della barricata, ma c’è spazio per entrambi e soprattutto è importante per noi comprenderli entrambi.
Qual è invece il film che meglio rappresenta artisticamente, esteticamente, il Settecento?
Sembra banale, ma sicuramente Barry Lyndon. E non solo perché è una galleria di dipinti in movimento, ma perché nelle sue citazioni artistiche si nasconde la frattura storica che per Kubrick trova origine nel Settecento, in particolare con Napoleone Bonaparte, e si radica nell’oggi: una pulsione di morte che convive con una forte spinta vitale. Non per niente, Kubrick aveva terrore dell’essere umano e del ripetersi incessante della Storia.
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“Come saremmo colti se conoscessimo bene solo cinque o sei libri”, scriveva Flaubert.
Luca Verrelli cerca di essere un buon lettore.
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