Intervista a Luisiano Schiavone: “L’arte è il risultato di un occhio che vede nel suo vedere”
Pugliese di base, ma ormai anche con un ricco curriculum capitolino, Luisiano Schiavone è uno di quei pochi artisti contemporanei in grado di rapirti. A volte addirittura di ipnotizzarti. Con le sue opere ti trasporta nel suo mondo fatto di caos e ordine, passione e ragione, corpo e anima. Alla base di questa sua bravura c’è una costante ricerca, fatta di dedizione e studio. Ma non solo…

Pugliese di base, ma ormai anche con un ricco curriculum capitolino, Luisiano Schiavone è uno di quei pochi artisti contemporanei in grado di rapirti totalmente. Di ipnotizzarti. Con le sue opere ti trasporta nel suo mondo fatto di caos e ordine, passione e ragione, corpo e anima. Alla base di questa sua bravura c’è una costante ricerca, fatta di dedizione e studio. Nonché una prorompente emotività, di base innata, ma anche ben “artisticamente stimolata”.
Luisiano, dopo aver conseguito la maturità artistica e successivamente la laurea alla Accademia di Belle Arti di Lecce, l’artista mostra già da giovanissimo una predisposizione pittorica per l’informale e l’espressionismo astratto. Sin da quella collettiva We are moving (1996) allo spazio Arte e dintorni di Bari, che raggruppò alcuni studenti di varie accademie italiane. Tra collettive, personali e collaborazioni con il cinema, negli ultimi anni Schiavone si proietta in un linguaggio pittorico introspettivo utilizzando la rappresentazione del figurativo alternandosi con l’informale. Ponendosi il quesito della scelta fra etica ed estetica, corpo e anima.
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Cosa è l’arte per te?
“L’arte è il risultato di un occhio che vede nel suo vedere”. L’arte è un mezzo con il quale attraverso un manufatto, nel mio caso la pittura e scultura, descrive e rappresenta la personale visione delle cose. L’artista attraverso l’arte da una percezione diversa del mondo fisico e fenomenico, donando agli altri un filtro per considerare con una nuova chiave di lettura tutto ciò che si osserva e circonda.
A quando risale, e cosa disegnasti, il tuo primo approccio con l’arte?
Il primo approccio con l’arte risale all’infanzia. Sono cresciuto in una famiglia costellata d’artisti, tra tutti però sentivo più affinità con un mio zio materno: osservavo per ore i suoi dipinti. Ero affascinato anche dal suo studio, ricordo che ogni qualvolta ci entrassi sentivo dentro di me di essere nel posto giusto, ne rimanevo come incantato. Osservavo le tele messe ad asciugare, contemplavo i colori che conteneva, i soggetti, gli accostamenti cromatici e nel frattempo riflettevo anche sul casuale accostamento di una tela che rappresentava dei fiori vicino a un’altra con soggetto una figura umana. Fu proprio questo zio che mi regalò i primi colori a olio e le prime tele. La prima opera che realizzai fu una natura morta perché cercai di riprodurre un suo dipinto.
Chi sono i tuoi maestri dei ritratti? E quali per i tuoi soggetti astratti?
La selezione degli artisti maestri avviene quasi spontaneamente, istintivamente. Posso dire che inizialmente erano davvero tanti, ognuno attraverso la propria visione del mondo ha contribuito alla mia formazione. La scelta non avviene con l’intenzione, avviene e basta. Nel percorso formativo di un artista infatti, si studiano e riproducono numerosi artisti, per poi arrivare alla formazione di una propria identità pittorica con la nascita del proprio percorso costruttivo. Dopo averne setacciati vari, gli artisti che prediligo nel figurativo sono: Raffaello, Cézanne, Modigliani, Rouault, Gauguin e Schiele per il figurativo, mentre per l’astratto sono gli artisti del periodo informale De Kooning, Fautrier, De staël, Morlotti e Afro.
Tra i due, quale genere ti soddisfa maggiormente e perché.
Non ho una preferenza in particolare. Dipingo secondo gli stati d’animo. Ci sono periodi che cerco soddisfazione nell’invisibile; in concetti astratti e metafisici dove cerco di rappresentare le sensazioni attraverso stratificazioni di colore all’apparenza casuali però controllate. Io, come pittore contemporaneo cerco di ripetere quelle “sensibilizzazioni pittoriche” che nascono da una action-painting per poi farle diventare volute e ripetute secondo l’esigenza iconografica e iconologica. Questo vale anche nell’esecuzione del figurativo. Risponderei semplicemente dicendo che non ho un genere che mi soddisfa perché qualsiasi esso sia è quello giusto purché parli delle mie emozioni di quel preciso momento.
Tre delle tue opere a cui sei più legato e perché.
A questa domanda rispondo dicendo che non ho opere a cui sono più affezionato ed opere a cui sono meno legato. Ho però, delle opere, che hanno segnato l’inizio di un nuovo stile pittorico in senso di “ricerca personale”. Queste opere sono: “Apparenze”, “Sincronicità” e “Tattoo”. Un motivo ricorrente in tutti e tre questi dipinti è l’inizio di un nuovo tipo di approccio pittorico.
Il primo con la tecnica “Pixel” che ho usato e perfezionato nel tempo trasformandolo e adeguandolo poi, in un secondo momento con “Sincronicità”, con la tecnica “Collage”, attraverso l’utilizzo di vari materiali inusuali. Infine, ma non per importanza, abbiamo “Tattoo” che reputo il quadro che più mi rappresenta. In questa tela ho racchiuso l’incapacità dell’artista di esprimere a parole, concetti che possono essere espressi solo attraverso l’immagine. Se per un poeta il mezzo d’espressione è la parola, per il pittore è il colore. In un pittore, la prima (la parola) tace, poiché incapace di racchiudere miriadi di concetti in così poche sillabe, mentre il secondo (il colore) incendia, creando pensieri, sovrapposizioni, accostamenti, forme, segni che danno vita a infinite visioni differenti a seconda di chi osserva e di chi crea, che a sua volta rimane muto e cieco lasciando parlare le proprie opere.
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Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.