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Cartelli rosa per dire “stop alla violenza ostetrica”

Last Updated on 09/05/2019

Nella mattinata di ieri Piazza San Cosimato si è riempita di cartelli e segnali stradali rosa. Per dire “stop” alla violenza ostetrica.

Diamo un segnale contro la violenza ostetrica
“Diamo un segnale” contro la violenza ostetrica

Nella mattinata di ieri Piazza San Cosimato si è riempita di cartelli e segnali stradali rosa. Caratterizzati da messaggi inusuali, quali “Obbligatorio lavarsene le mani”, “Libero accesso ai mezzi non autorizzati”, “Silenzio”. Con le icone di un paio di guanti, grosse forbici e una mascherina chirurgica. E ancora segnali d’allarme triangolari, “Attenzione bambino” e “Rispettare i limiti”: le icone sono un neonato e una donna incinta.

Nel pomeriggio, invece, l’ultimo cartello: un ottagono su cui si legge la scritta “Stop alla violenza ostetrica” e l’indirizzo della pagina Facebook “Diamo un segnale”. Sotto al cartello una scatola, la scritta “Obbligatorio indossare indumenti ad alta visibilità” e l’icona di un braccialetto (che ricorda quello di neomamme e neonati in ospedale) con l’invito a infilare la mano, indossarlo e postare la foto sui social, con l’hashtag #diamounsegnale.

Forbici, mascherine e guanti: un’azione di guerrilla marketing per “dare un segnale”

“Il tema della violenza ostetrica non è conosciuto in Italia” – ha spiegato una delle ragazze, ex studentessa di ostetricia – “ma è una realtà fin troppo comune e devastante per le madri che ne sono vittime”. Le autrici dell’azione hanno voluto portare all’attenzione del pubblico le allarmanti imposizioni alle donne che stanno per partorire.

“Troppe donne vengono sottoposte a pratiche invasive e violente come l’episiotomia e la kristeller, con il rischio di gravi lesioni per madre e neonato, senza una reale necessità e senza poter fornire un consenso realmente informato. Per non parlare degli abusi verbali e psicologici a cui sono soggette in un momento di massima vulnerabilità. Viene gridato loro di fare silenzio, che non sono in grado di partorire, che se dovesse andar male la colpa è loro. E la maggior parte si tiene dentro il trauma per tutta la vita. In Italia non se ne parla abbastanza, la maggior parte delle donne non ne è al corrente e non ci sono leggi in merito, come ad esempio in Inghilterra. I nostri cartelli si riferiscono a questo”.

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