Le bellezze di Prati, da palude a zona residenziale della borghesia romana
Last Updated on 24/01/2020
Una piacevole passeggiata per Prati, il più recente dei rioni romani, all’ombra del Cupolone, tra eleganti palazzine e costruzioni in stile liberty ed eclettico

La storia del quartiere Prati
“I prati di Castello”, questo il nome completo del XXII rione di Roma (da Castel Sant’Angelo), iniziano a prendere forma dopo il 1870. Più precisamente, a partire dal 1879, data di costruzione di una passerella di ferro che conduce dalla scalinata di Ripetta fino al cosiddetto “quartiere Cahen”, nei pressi di via Vittoria, così denominato per via dell’omonima famiglia belga di finanzieri che qui risiede.
Fino almeno al 1883 lo skyline è dominato da una vastissima distesa di campi coltivati, pascoli e anche di paludi. Non mancano, soprattutto alle pendici di Monte Mario, casali agricoli. Il territorio in questione è soprannominato anche “pianella d’Oltretevere”, in quanto funge da area-cuscinetto durante le inondazioni del fiume: una vera e propria salvezza per il vicino Borgo.
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La metamorfosi del XIX e XX secolo, tra caserme, ville e cupole
Nell’ultimo ventennio del XIX sec., un accordo tra il Comune di Roma e il Regio Esercito, stabilisce la costruzione di cinque caserme in questa zona. Esse sorgono tra viale Giulio Cesare e viale delle Milizie, il confine definitivo dei Prati di Castello, al di là del quale si trova la piazza d’Armi (oggi piazza Mazzini), dove i vari reparti militari compiono le esercitazioni militari. Nello stesso periodo, si dà il via alla costruzione del Palazzo di Giustizia.
Tra le demolizioni necessarie per l’espansione urbana, quella della villa suburbana di Bindo Altoviti, fiorentino nemico dei Medici, banchiere di ben cinque pontefici. Tra la fine dell’Ottocento e l’immediato inizio del Novecento, la lunga Via Cola di Rienzo, il corso principale, unisce piazza della Libertà a piazza Risorgimento.

I ponti Margherita, Umberto I e Cavour
Contribuisce notevolmente allo sviluppo del quartiere la costruzione dei tre ponti Margherita (1891), Umberto I (1895) e Cavour (1901), che tuttavia non rientrano nel territorio rionale. Essi assicurano un agevole collegamento con il centro cittadino.
È curioso notare che il ponte Margherita eviti la visuale della cupola di San Pietro e di Castel Sant’Angelo. Ciò perché la classe politica dell’epoca, anticlericale e massonica, intende differenziarsi nettamente dal precedente potere temporale della Chiesa.
Nel 1908, poi, il Regio Esercito concede al Comune i circa 800.000 mq. della piazza d’ Armi. Subito dopo, in occasione dell’Esposizione Universale del 1911, la giunta Nathan, progetta un reticolo stradale a schema radiale. Tale schema viene applicato nel piano regolatore del 1919 da Gustavo Giovannoni e Marcello Piacentini.
Il nuovo quartiere, Milvio, o “Delle Vittorie”
Nasce così un nuovo quartiere, Milvio. Successivamente esso viene ribattezzato “Delle Vittorie”. La sua ultimazione risale al periodo fascista. Il Delle Vittorie viene comunemente associato a Prati, sebbene questa sia un’imprecisione. Quest’ultimo è delimitato da via Leone IV, piazza del Risorgimento, via Stefano Porcari, via Alberico II, piazza Adriana, riva destra del Tevere fino a ponte Matteotti, lungotevere Prati, piazza dei Tribunali, lungotevere Castello, lungotevere dei Mellini, piazza della Libertà, lungotevere Michelangelo, viale delle Milizie.
La differenza tra i due è visibile già esteticamente. Prati è un quartiere «umbertino», con rare aggiunte successive. Il Delle Vittorie è invece caratterizzato dall’edilizia pubblica e privata del Ventennio e della seconda metà del Novecento. Esempi di costruzioni di quest’ultimo periodo sono il palazzo della RAI o quello della Corte dei Conti.
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La fisionomia del quartiere Prati, tra villini e tesori artistici

Il piano regolatore Viviani, di gusto piemontese, propende per grandi viali e grandi piazze, sulla scia della nuova urbanistica delle moderne città europee. È questo il modello seguito a Prati.
La cifra stilistica più evidente è sicuramente la presenza di “villini” destinati all’abbiente classe borghese. Le costruzioni qui vantano un apparato ornamentale facente capo a celebri artisti dell’epoca. Tra questi, Duilio Cambellotti, prototipo dell’artista-artigiano, alter-ego di William Morris in Italia, e Galileo Chini, tra i protagonisti del Liberty italiano, valido ceramista e decoratore delle Terme Berzieri e del Grand Hôtel des Thèrmes a Salsomaggiore Terme.
Si segnalano, tra i tanti, i villini Vitale e Cagiati, in via dei Gracchi. Il secondo di questi due, decorato a pampini e frutti, vanta dei ferri battutti di Alessandro Mazzucotelli. Di felice riuscita estetica anche le abitazioni del senatore Cefaly, del conte Pietro Chiassi o del cav. Cesare Danesi, personaggi di spicco della Roma dell’epoca.
Villa Cagiati Villino Vitale
Tra via Crescenzio e via Ovidio
Parimenti degno di interesse, in Via Crescenzio, al n 38, il villino Roy, progettato dall’architetto Fulgenzio Setti. Esso spicca per il suo stile eclettico parigino. A dargli questa peculiarità è soprattutto la guglia che si trova in alto all’angolo con via Ovidio.
È più tarda, invece, ma ricolma di tesori artistici, la Casa Madre dei Mutilati (del 1928), a Piazza Adriana. Opera di Marcello Piacentini, ha erme di Adolfo Wildt, marmi di Arturo Dazzi, due affreschi di Mario Sironi, due tele di Carlo Socrate.
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Ivan Caccavale, classe 1991, storico e critico d’arte. Attratto da forme, colori e profumi sin da bambino, mi sono formato presso il liceo classico. Ho imparato che una cosa bella è necessariamente anche buona (“kalòs kai agathòs”).
Come affermato dal neoplatonismo, reputo la bellezza terrena un riverbero della bellezza oltremondana. Laureato in studi storici-artistici, mi occupo di editoria artistica.
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