Giampaolo Atzeni: “La mia arte in continuo divenire”
Nato a Cagliari nel 1954, Giampaolo Atzeni dedica tutta la sua vita all’arte. Alla sua arte. Ai suoi colori, al suo stile, alle sue genialità. E’ una ricerca costante, incessante, tra linee e temi

Nato a Cagliari nel 1954, Giampaolo Atzeni dedica tutta la sua vita all’arte. Alla sua arte. Ai suoi colori, al suo stile, alle sue genialità. E’ una ricerca costante, incessante, tra linee e temi. L’artista, dopo i suoi studi presso la facoltà di Architettura di Firenze, ha viaggiato per l’Europa innanzitutto come attore, con la compagnia del Terzo Teatro. Poi si è dedicato alla fotografia, con reportage in Africa, India, e Medio Oriente.
Nei primi anni ’90, invece, sviluppa lo stile pittorico che caratterizza le sue creazioni. La sua fama, negli anni, gli permettono contaminazioni tra scultura, design e moda. Con grande successo. Dove questo suo cammino lo porterà ancora non si sa. Dopotutto, come ammette lui stesso, i suoi progetti sono “in continua evoluzione”.
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Intervista a Giampaolo Atzeni, tra passato e futuro
Perché la scelta di usare così tanto (parte dei) corpi femminili nella tua arte?
Sono vissuto in una famiglia composta prevalentemente da donne e ne ho sempre subito il fascino. E ho sempre dipinto esclusivamente donne. Non una donna in particolare, ma la “donna”. Bellezza, mistero e seduzione si fondono perfettamente nel corpo femminile, in ogni singola sua parte. La scomposizione del corpo dei miei quadri è un invito ad usare l’immaginazione per dare un volto alle miei donne.
Quando, come e dove è nato in te il bisogno di fare arte?
Praticamente da sempre. Fin da piccolo ho sentito il bisogno di trasferire i miei sogni in un disegno o in un oggetto, ma alla pittura in modo professionale mi sono dedicato in età adulta, dopo aver esplorato altre espressioni artistiche, come il teatro, la fotografia e il design, che sono il mio bagaglio culturale rintracciabile oggi in tutti i miei quadri.
Chi sono i tuoi grandi ispiratori/modelli e come li hai conosciuti?
I grandi artisti della pop art, ma anche quelli dell’espressionismo, primo fra tutti Matisse, a cui dedico la mia “firma”, il pesce rosso presente in tutti i miei quadri. E poi architetti e designer come Ettore Sottsass, Alessandro Mendini e Gaetano Pesce. E stilisti come Egon von Furtstemberg, Roberto Cavalli, Ottavio Missoni, Antonio Marras, Romeo Gigli. A loro mi sono ispirato nella realizzazione di molti quadri.
Un tuo “piccolo grande” sogno?
Rendere la mia arte veramente popolare e fruibile, anche attraverso la sua trasposizione in oggetti. Un sogno che coltivo da molto tempo e che in qualche modo ho già iniziato a realizzare, con la creazione di capi di abbigliamento o elementi di arredo che riproducono i miei quadri: borse, foulard, pochette, poltrone e divani. Perché i miei quadri sono dei progetti in continua evoluzione.
Le tue tre opere che raccontano di più di te e perché?
Il Viaggio di Ulisse, l’Architetto e la Poltrona di Proust, che sintetizzano il mio percorso professionale e racchiudono i grandi temi che mi stanno più a cuore: il viaggio, la passione per l’architettura e il design, l’impegno culturale.
Il Viaggio di Ulisse – L’insaziabile fame di conoscenza unita al profondo attaccamento alle proprie origini e ai propri amori.
L’ Architetto – La scomposizione immaginifica del corpo come strumento di ricerca della perfezione.
La Poltrona di Proust – La magnificenza della cultura coniugata con l’intenso piacere della bellezza.
Prossimi progetti
Sto lavorando ad una antologica che vorrei fare a Napoli e alla realizzazione di un libro fotografico che documenti il fenomeno migratorio nel continente africano attraverso gli scatti dei miei numerosi viaggi in Niger, Mali e Senegal negli anni ’70. E sempre a proposito di Africa sto lavorando ad un progetto umanitario basato sulla realizzazione di tappeti che riproducano i miei quadri. Inoltre pochi giorni fa mi hanno proposto di illustrare un libro per Natale…
Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.