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Intervista a Giusy Lauriola: “La mia ricerca (libera) della sensazione”

Last Updated on 22/04/2021

La ri-costruzione della realtà tramite larte e la bellezza: è questo l’obiettivo principale di Giusy Lauriola, artista socialmente impegnata e dalla carriera ormai consolidata

Si è concluso da poco il Festival delle Arti “Nuvola Creativa”, presso il Macro di Roma. Emblematico il titolo scelto, “Domino/Dominio – per gioco e per davvero”. Attuali le tematiche affrontate, tra cui quella dello strapotere dei potentati, che stanno causando il collasso del pianeta Terra. Nell’ambito di questo evento, fortemente voluto da Antonietta Campilongo, numerosi gli artisti coinvolti. Tra questi, una nota di merito spetta sicuramente a Giusy Lauriola, che vanta una carriera consolidata. Giusy ha presentato in questo contesto un’opera di video art, dal titolo Cambialamore, in cui affronta il discorso della guerra e dell’indifferenza nei confronti del dolore altrui.

Giusy Lauriola nasce a Roma, dove tuttora vive e lavora. Frequenta la facoltà di Lingue e Letterature straniere moderne all’Università “La Sapienza”, dove si laurea con lode. Successivamente si iscrive all’Accademia d’arte e Mestieri San Giacomo e poi al corso professionale d’illustrazione Pencil Art di Roma. Preziose risultano anche le lezioni private di due maestri, Silvio Bicchi, che le trasmette la tecnica dei Macchiaioli, e Alberto Bertuzzi, che l’avvicina ai fiamminghi e all’iperrealismo.

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La tua produzione si muove tra figurativo e astratto. Da cosa deriva questa scelta?

Vengo da studi figurativi. Sono particolarmente attratta dalla figura femminile e infantile. Uno studio figurativo forte è difficile da abbandonare. Per taluni aspetti, sono accostabile all’Espressionismo astratto. Il mio impiego tutto personale della resina, poi, mi permette di creare immagini mie. Sono contenta di aver lavorato per tappe: bisogna attraversare diverse fasi per poi sentirsi liberi di abbandonarle. Io possiedo l’opera a cui voglio arrivare dentro di me, ma non si tratta di un’immagine, piuttosto di una sensazione. Più mi allontano dalla figurazione, più sento che i risultati raggiunti mi appartengono.

Nell’approccio al lavoro segui l’istinto o ti fai guidare da una riflessione accurata, da uno studio ponderato?

Ricerco la libertà del tratto. Lo studio c’è sempre. Continuamente leggo e elaboro. Attraverso le mie storie parlo delle donne. Il video che ho presentato al festival, ad esempio, è stato uno dei miei primi lavori e rispecchia il mio interesse per l’indifferenza al dolore degli altri, come nel periodo della guerra in Iraq, dopo l’attacco delle Torri Gemelle: è proprio questo aspetto tipico dell’uomo moderno che mi ferisce maggiormente.

Altro progetto interessante, invece, riguarda l’universo femminile. Si tratta di una mostra in programma per il 2020, nella quale parlo delle donne dell’Algeria torturate dai francesi perché desiderose di essere indipendenti. Preziosa, a riguardo, sarà la testimonianza diretta di un’artista franco-algerina, che vuole porre in luce questa pezzo di storia dimenticata.

Ci sono artisti che ammiri particolarmente? Per quali ragioni?

Schiele, perché aveva un tratto nevrotico; lo considero un artista irreale nella sua realtà. Nella mia vita, ho avuto modo di conoscere Schifano. Di lui apprezzo in particolar modo la rappresentazione della Natura e l’accostamento, mai disarmonico delle cromie. L’accordo di colori è una delle cose più difficile da raggiungere quando si tratta di abbinarne più di due.

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Allo stato attuale del mondo dell’arte quale deve essere il ruolo del gallerista?

Il gallerista deve collaborare insieme all’artista, seguirlo. Gallerista – curatore – artista, un trinomio che deve risultare proficuo, vincente.

Pensi che lo spazio lasciato agli artisti emergenti al giorno d’oggi sia sufficiente?

In Norvegia vengono date delle sovvenzioni a quanti si dedicano all’arte; In Italia questo settore non è organizzato: per avere un riscontro positivo occorre entrare in determinati circuiti, altrimenti si soccombe. Prima c’erano i mecenati, ora questa categoria, salvo rare eccezioni, sembra estinta. Mancano patrocini da parte del governo e spazi comuni dediti all’esposizione dell’arte.

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