Il jazz secondo Hobsbawm: torna in libreria la “Storia sociale del jazz”
Pubblicato da Mimesis torna in libreria “Storia sociale del jazz”, il libro in cui il massimo storico del Novecento si confronta col più rivoluzionario dei generi musicali moderni.

Torna in libreria, edita da Mimesis, la Storia sociale del jazz di Eric Hobsbawm. Pubblicato per la prima volta, sotto pseudonimo, alla fine degli anni Cinquanta, il libro ha avuto numerose edizioni. Nato durante uno degli apici creativi del jazz, il libro dello storico britannico è una “storia sociale”, non solo un saggio su un genere musicale. Una storia di donne e di uomini; la storia di un linguaggio nuovo e rivoluzionario, non solo in senso prettamente musicale. “Il jazz è come lo fanno i musicisti e i cantanti. Il musicista è il cardine del mondo del jazz”, scrive lo Hobsbawm; interpretazione e improvvisazione: due caratteri nuovi nati dalla cultura popolare, dalla tradizione orale, che diventano il concetto base della nuova musica; o meglio di un nuovo modo di pensare la musica.
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La musica e il fenomeno sociale
Ma, si diceva, non si tratta solo di musica. Il jazz è un fenomeno sociale a trecentosessanta gradi. “L’atmosfera che ha circondato il jazz sin dai suoi primi passi è talmente impregnata di emozioni che è difficilissimo definirla in termini esclusivamente musicali”. Così scrive lo storico in un capitolo del libro che non a caso si intitola “Il jazz come protesta”. Il jazz come fenomeno sociale (anche se Hobsbawm ci tiene a dire che non sta facendo “sociologia del jazz”) è di per sé una cultura nata dalla protesta e dal bisogno di ribellione. Scrive lo storico che “anche il più apolitico dei jazz-amatori non può non essere nemico di quella discriminazione razziale che solo le destre difendono pubblicamente”. Il libro, insomma, ricostruisce l’impatto sociale di questa cultura in un bel tratto del “secolo breve”; il suo spirito, come vera “new thing” moderna, non solo in campo musicale.
Il jazz come elemento della vita moderna
Il jazz, dice Hobsbawm in apertura del saggio, è “elemento della vita moderna”; e la definizione non poteva essere più calzante. Insomma, è un sistema, un mondo. E per questo, accanto ai capitoli riguardanti l’evoluzione stilistica del genere musicale, si affiancano capitoli di più ampio respiro. In particolare quelli riguardanti il jazz e l’industria (culturale); o i rapporti con la musica leggera, l’ambiente, gli interpreti e il pubblico; ma anche i rapporti con le altre forme d’arte (dalla musica “dotta” alla letteratura). Scrive, a tal proposito, lo storico che il jazz “è ciò che accade quando una musica popolare non si lascia soffocare, ma si afferma nella moderna civiltà, urbanizzate e industriale”. Pur essendo, insomma, musica “popolare”, non estranea quindi ai meccanismi dell’industria e del capitale, il jazz riesce a mantenere, per sua innata composizione, una sorta di indipendenza da quel meccanismo che fagocita e banalizza le nuove forme di espressione.
Nel “secolo breve” e oltre
Potrebbe essere, insomma, una sorta di spirito del jazz; una deliberata e costante ricerca del nuovo, che svicola dalle rigidità del mercato e del conformismo. Un’attitudine “novecentesca”, alla ricerca del contemporaneo, della commistione degli stili (di vita), che però non si è assopita con il tramonto del jazz “classico”; si è infatti trasferita in molti “figli” di questo genere musicale, che forse non porteranno più questo nome, ma ne conservano e ne custodiscono lo spirito. Quelle musiche, e di riflesso quegli stili di vita, che non si accontentano dell’ordinario, della conservazione e dello status quo. Quelle forme di espressione, veri e propri “rituali di resistenza”, che guardano in faccia la realtà, spesso dura, fatta di sopruso e repressione, e la trasformano in “battito” potente. Anime inquiete, notturne, i jazzisti: ma con gli occhi fissi al presente e strettamente legati al proprio tempo.
Scheda del libro
Titolo: Storia sociale del jazz
Autore: Eric Hobsbawm
Editore: Mimesis
Anno: 2020
Pagine: 473
ISBN: 9788857567860
Prezzo: 26 euro.
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“Come saremmo colti se conoscessimo bene solo cinque o sei libri”, scriveva Flaubert.
Luca Verrelli cerca di essere un buon lettore.