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Intervista a Valentina Desideri: “Parlami Comò” e la necessità di salire sul ring della vita

Nel suo libro d’esordio, pubblicato da Porto Seguro Editore, la scrittrice romana Valentina Desideri indaga il mondo dell’instabilità emotiva e i modi di vivere una relazione, attraverso la ricostruzione di un percorso di terapia, per non lasciare che la vita deragli: è troppo preziosa.  

Uscito per i tipi di Porto Seguro EditoreParlami Comò” è libro d’esordio di Valentina Desideri, un romanzo breve ma intenso, perché completo in ogni sua parte ed articolato su più livelli di lettura.

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La trama del libro

Concetta Molinari, detta Comò, è la protagonista del libro, una liquidatrice aziendale appassionata di mobilio e uomini: la sua instabilità emotiva la porta a intraprendere un percorso di psicoterapia dalla dottoressa Soverato. Stimata professionista specializzata in casi come quello di Comò, quest’ultima ha però da anni una relazione extraconiugale con un suo collega, il dottor Valproato, uno psicoterapeuta cinico e narcisista. Intrufolandosi nelle vite di ognuno di loro, il lettore si farà strada fra il passato e il presente dei tre personaggi, toccando le corde della gelosia e della passione, l’intimità della maternità, le frustrazioni del lavoro e il delicato e labile confine fra paziente e terapista.

“Parlami Comò” è un triangolo psicologico ipotetico e irriverente, rivolto a chi si mette in discussione per cambiare un destino già scritto e per affermare il valore catartico dell’immergersi nei propri abissi interiori. Valentina Desideri è nata a Roma nel 1986. È una collaboratrice parlamentare ed ha accettato di rispondere ad una serie di domande sul suo primo libro.

L’intervista a Valentina Desideri

Questo romanzo è assimilabile ad un percorso di psicoterapia. Qual è il motivo che spinge Concetta Molinari detta Comò ad iniziarlo?

Comò è un personaggio che lotta per la propria unità interiore. Spesso si arriva alla soglia della terapia quando ci si accorge di non avere più strumenti con i quali operare da soli, quindi ci si deve affidare a un professionista. Ci si sente vuoti oppure molto confusi; la strada è molto buia, il dolore incede. Concetta Molinari seppure nella sua incoerenza è una donna molto centrata sulla propria personalità, che ha modellato negli anni e dalla spiccata empatia. Sceglie di affidarsi alla dottoressa Soverato per trovare il filo rosso della sua esistenza, così dolorosa ma maledettamente intensa. Vivrà sensazioni inaspettate, troverà risposte dove cercava domande. Sperimenterà il coraggio della ricerca dell’origine del male e nel suo caso l’imprevedibilità del contatto con l’altro, forse quello che le serviva.

Il libro è dedicato “A chi sale sul ring” e, in una delle sedute con la dottoressa Soverato, Comò afferma che “Io salivo nelle relazioni come fossi su un ring e mi mettevo in posizione di guardia”, finendo poi per citare “The Rumble in the Jungle” l’incontro di pugilato in cui uno sfavorito Muhammad Alì ha battuto il campione dei pesi massimi George Foreman attraverso una tattica attendista: che significa salire sul ring? Non è faticoso impostare delle relazioni sentimentali in questo modo? O comunque affidarsi ad una strategia?

Le relazioni sentimentali sono tutte faticose! Si arde, ci si scontra, ci si annoia, ci si prende e ci si lascia. Un lavoro di lancette d’orologio. Ci si incontra nel momento giusto e nel momento sbagliato. Altrimenti che amore sarebbe? Amare è molto coraggioso, significa scegliere l’altro senza la pretesa di essere scelti. In questo libro c’è molto amore evitante ma c’è anche l’amore nel personaggio del marito della dottoressa Soverato che richiama più il concetto di adorazione. L’amore è un sacrario che spesso sporchiamo con le nostre strategie e miei personaggi ne sono l’esempio lampante. Chi sale sul ring è inteso in realtà, come chi sale sul ring della terapia, è una dedica a chi si mette in gioco; l’amore supremo, quello che ci porta al rispetto della nostra persona e che ci insegna a rapportarci al prossimo.

Nel libro la terapeuta chiede a Comò quale sia la ricetta segreta del potere. Come si lega il potere alla tematica del controllo all’interno delle relazioni fra le persone? Ci sono dinamiche di questo tipo fra i 3 protagonisti del libro ovvero Comò, la dottoressa Soverato e il dott. Valproato? Come si svolgono?

Concetta è per indole e per formazione professionale una donna che maneggia il potere inteso come strumento per ottenere quel che vuole. Questa sua personalità tende a scivolare naturalmente nella mente dei suoi interlocutori che ne rimangono in qualche modo colpiti. Il rapporto tra la paziente Comò e la dottoressa Soverato è un legame positivo di conoscenza e di scambio, mentre il legame tra la dottoressa Soverato e il Dottor Valproato è di assoggettamento, dove la violenza psicologica e le dinamiche di dominazione e di dipendenza innescate tra i due sono predominanti.

Quello fra i protagonisti non è un vero e proprio triangolo amoroso, quanto piuttosto un “triangolo psicologico ipotetico e irriverente” si legge nella quarta di copertina del libro. Possiamo affermare di trovarci di fronte a ciò che in psicologia viene definita “triangolazione”? In caso affermativo, chi assume il ruolo di mediatore di distanza?

Il mediatore di distanza anche se inconsapevolmente tra i due è Concetta che irrompe nella mente della dottoressa Soverato e germoglia in lei, portandola a ripensare al rapporto con il suo amante, alla sua vita distrutta.

Qual è il ruolo della gelosia in questo particolare triangolo amoroso? Chi è geloso di chi? Cosa significa la gelosia nel vissuto dei protagonisti e come si riallaccia alla tematica del controllo?

Nel mio libro tutti sono gelosi di tutti, perché sono fatti di carne. Ognuno con le proprie caratteristiche. Anche il più cinico come il dottor Valproato sperimenta sulle sue labbra questo veleno. Per Comò la gelosia è un morbo che la consuma, fondamentalmente perché lei ricerca la verità e ha paura di non trovarla nell’altro, come in una delle sue due personalità. Per la dottoressa Soverato la gelosia è la misura di distanza per non farsi troppo male. Verrà poi traslata in una sorta di invidia. Il dottor Valproato ha la forma più nera: quella del possesso della sua amante.

Comò e la dottoressa Soverato hanno qualcosa che le accumuna al di là del loro rapporto paziente-terapeuta, tanto che da alcuni episodi narrati nel libro si potrebbe pensare di trovarci di fronte a dinamiche di transfert e controtransfert: che ruolo ha in tutto ciò la distanza, il distacco emotivo? In che modo differente le due protagoniste prendono distanza o sublimano le loro emozioni?

In alcune parti del libro sembra che le due figure si sovrappongano. C’è sempre un limite, una soglia che un professionista non deve varcare con la propria paziente ed è proprio questo che rende unico questo rapporto. Quando ci si spinge oltre la terapia dovrebbe essere interrotta. Le due protagoniste scelgono la via del non ritorno e salgono sul ring a tutti i costi.

Narcisista, feticista, fedifrago, meschino, maschilista. Chi è il dottor Valproato? È effettivamente il peggiore degli uomini possibili che una donna possa incontrare? Il suo vissuto sembrerebbe un percorso pieno di occasioni mancate, o meglio di scelte consapevoli per diventare la persona che è (ha sempre fatto la scelta sbagliata o comunque più riprovevole). È possibile una redenzione anche per lui o è ormai irrecuperabile? Ma soprattutto può interessargli essere recuperato?                                                                          

Non c’è etica in questo, il giudizio più duro non lo rivolgo a lui. Valproato è il simbolo della società italiana narcisista e patriarcale. Anche Comò e la dottoressa Soverato sono figlie di quest’ultima; fanno cose giuste e cose abominevoli, perdono occasioni e tempo, ci cascano con tutte le scarpe. Alcune dinamiche si innestano perché gridano dentro di noi. La ‘redenzione’ arriva se si getta la maschera e si combatte.

Quella fra Valproato e la dottoressa Soverato è una relazione che potremmo definire nociva. Possiamo dire che è una relazione costruita sulla dipendenza? Sull’assoggettamento personale? Sul plagio? In caso affermativo, chi è il termine passivo di questa relazione? Fino a che punto accetterà di degradarsi?

Volendo dare una lettura semplicistica, potremmo dire che la vittima, passatemi il termine, sia la dottoressa Soverato. In realtà le cose sono spesso più complesse. C’è sempre uno scambio anche nelle relazioni tossiche. Sicuramente il dottor Valproato incarna il carnefice che preme sul deficit di autostima della sua amante e sulle sue carenze affettive, ma la Soverato lo lega a sé stringendo i lacci del rapporto, generando dipendenza e trascinando entrambi in un pozzo senza fondo. Il degrado lo toccano in caduta libera non schiantandosi. Ognuno di loro recita la sua parte di vittima e carnefice. Lei sicuramente è il personaggio che ha dei rimorsi nei confronti della sua vita ma non parlerei di plagio, quanto di scelte sbagliate.

Comò si è rivolta alla terapeuta probabilmente per un bisogno di frangibilità, intende cioè scindere la sua unità per vedere quello che c’è al suo interno, quasi voglia interrompere questa dinamica di impermeabilità all’altro, di espulsione, che si estrinseca nel suo mestiere di liquidatrice aziendale. Vuole in qualche modo tirarsi fuori. Anche la dottoressa Soverato ha bisogno di infrangersi, ma molto più probabilmente per riempire il vuoto, la solitudine che si porta dentro. Possiamo dire che Comò sia una persona più risolta rispetto alla Soverato? Quali sono i punti di contatto fra le due?

In realtà Concetta Molinari vuole far pace con la Co bianca e la Mò nera che abitano il suo corpo. Vuole trovare l’unità e capire il meccanismo che la rende instabile dal punto di vista relazionale. La terapia la porta su un piano parallelo dove potrà osservare le sue due anime. La dottoressa Soverato ha bisogno di parlare con la bambina che vive in lei, di un amore che la tiene distante, in bilico e non vicino al suo cuore per ricreare lo schema della mancanza. Ama attraverso l’esperienza del dolore e della dipendenza.

“Parlami Comò” è il titolo che la Soverato ha messo al quaderno di terapia di Concetta Molinari, eppure per la terapeuta questa frase sembra assumere quasi una valenza imperativa verso sé stessa. È possibile che, nel momento in cui la dottoressa Soverato manda Comò in terapia da Valproato, voglia iniettargli una sorta di “virus” che lo faccia deflagrare? Quali sono le reazioni di Comò e Valproato a questo loro incontro?

Questo possiamo interpretarlo con un giudizio sospeso. Ogni azione ha una componente conscia e una inconscia. Colui che legge sceglie di dare la lettura che vuole. Concetta Molinari viene spedita da Valproato per un consulto come tutte le pazienti della Soverato. Comò riconosce la componente narcisista di Valproato e ne prova orrore, razionalizzando l’esperienza negativa la rifiuta. Valproato ammira le belle gambe come fosse una donna qualunque incontrata sulla via, con una connotazione dell’esperienza del tutto sessuale.

Eppure in questo romanzo c’è spazio pure per la fiducia, per la possibilità di trovare un codice di condivisione, una nuova grammatica del contatto. Qual è il ruolo del tango in questa presa di coscienza, da parte di Comò, rispetto alle sue difficoltà nello stare in una relazione?

Certo, il testo è disseminato di elementi positivi. Comò alla fine del suo primo matrimonio viene trascinata in una milonga da una sua amica e qui inizia a ballare il tango. Passo dopo passo, contrasto dopo contrasto vista la sua spiccata attitudine per la marca – nel condurre la danza – si trovò davanti il suo maestro. Puntò il piede invece di farlo scivolare lentamente di lato. Ripresa per la vita e ammonita dall’uomo, si fidò di lui, tornò in asse e perdendo finalmente l’equilibrio, in sospensione per un attimo volò. Così imparò che in una coppia si deve condividere per andare avanti. La gestione del contatto con l’altro è la vera chiave di volta.

“Nulla si lascia andare completamente, tutto ritorna”. Questa affermazione fatta da Comò mi fa venire in mente la canzone di Niccolò Fabi “Vince chi molla”. Cosa lasciare andare Comò attraverso le relazioni con i suoi 3 mariti? Qual è (se esiste) la sua relazione perfetta? Qual è il vero uomo della sua vita?

Quella canzone ha un afflato di filosofia orientale. Dobbiamo lasciare andare e nulla si trattiene, perché nulla è nostro, bisogna viaggiare con un bagaglio leggero. Ecco, nel capitolo del mio libro c’è una prospettiva ribaltata; l’immanenza nel cuore e nella mente. Ciò che abbiamo lasciato andare ma che torna come foglie policromatiche indietro. La vera domanda è: come si fa a lasciare andare?

Concetta Molinari perde il primo marito in una dinamica non ben precisata, il secondo nella morte e il terzo in un’esperienza di lutto in presenza. Tutto è fermo in lei, tutto è dolore. Deve imparare a diluire questo sentimento. Il vero uomo è suo figlio Z., l’infelicità ha lasciato spazio alla gioia.

Comò dice: “La scrittura è uno strumento di maieutica”, di ricerca della verità. E per Valentina Desideri?

Certamente, per me lo è, quel paragrafo appare nel libro per richiamare questa dimensione interiore che sento molto mia. Anche nella mia borsa spesso si trovano appunti scritti velocemente in un’agenda o dietro una bolletta pagata. Sono una grande disordinata, la scrittura invece è fatta di regole e mi aiuta a mettere in ordine i pensieri.

Questo romanzo più prestarsi a vari livelli di interpretazione, c’è ad esempio anche una componente simbolica, quasi esoterica. Vengono narrati episodi, luoghi, passioni, esperienze. Ecco in che senso questo romanzo può avere anche una dimensione autobiografica?

La struttura del romanzo ha più livelli d’interpretazione. Sicuramente ci sono due decumani che attraversano il testo: il primo è quello legato alle date di alcuni avvenimenti degli anni ’70 del secolo scorso come la scoperta dei Bronzi di Riace nel paese della Soverato o come le prime morti del Club 27 delle star del rock, passando per il Referendum sull’istituto del divorzio in Italia. Il secondo è dato dalla presenza classica dei luoghi di ambientazione: Roma, la Grecia e la Calabria. Ogni cosa che scriviamo è autobiografica perché si tende a parlare di quello che si conosce, di quello che ci brucia la pelle.

Questo è il tuo romanzo d’esordio, come hai vissuto questa esperienza di scrittura? Da cosa nasce? Come l’hai gestita? Pensi che continuerai a scrivere?

Lo sto già facendo, tra poco uscirà un’antologia che contiene un racconto noir sul mio quartiere, Centocelle a Roma. Sto scrivendo inoltre un nuovo testo ambientato a Milano che ha tutta l’aria di trasformarsi in qualcosa di importante, almeno lo spero. L’ho vissuta come una rinascita. Qualcosa mi si è rotto dentro e ha fatto entrare la luce giusta in questo periodo di restrizioni. Ho letto e scritto molto come non mi accadeva da anni. L’esordio è stato un parto veloce e felice. Un’esperienza stimolante.

In conclusione, c’è un personaggio del libro a cui sei più affezionata ed a cui vorresti fare un augurio, che possa essere esteso anche ai tuoi lettori e alle persone che stasera ci hanno ascoltato? Una sorta di consiglio sul da farsi rispetto al futuro, non solo per cercare di stare in una relazione in un modo sano.

Sono affezionata alle donne di questo libro che non sono solo due. Ognuna di loro porta un messaggio da scoprire e donare ai lettori. Il messaggio finale può essere: non esitate a salire sul ring qualsiasi sia il vostro problema, non lasciate che la vostra vita deragli è troppo preziosa.

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