Scene da un matrimonio all’Eliseo: la recensione
In scena fino al 17 novembre al teatro Eliseo di Roma, Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, che ne apre la stagione 2019/2020

In scena fino al 17 novembre al teatro Eliseo di Roma, Scene da un matrimonio di Ingmar Bergman, che ne apre la stagione 2019/2020. Lo spettacolo diretto da Andrei Konchalovsky riapre il discorso sulle tematiche di coppia e del difficile rapporto coniugale dopo anni di matrimonio, all’insegna di una routine quotidiana che prende il posto dell’amore. Un discorso teatrale, trasportato alla Roma degli anni sessanta, gradevolmente rievocata da immagini televisive dell’epoca, conserva in toto l’atmosfera del periodo rappresentato.
La trama dello spettacolo
Marianne e Johan, al secolo Milenka (Julia Konchalovsky) e Giovanni (Federico Vanni), una coppia all’apparenza felice, la cui storia finisce con l’esplodere in una violenza verbale e fisica, dovuta alla decisione di lui di abbandonare il tetto coniugale per un innamoramento momentaneo. Da qui un circolo vizioso di cattiveria e frustrazione porterà la coppia a raggiungere nuove consapevolezze. Il personaggio di Giovanni racconta una fragilità quasi bambinesca, alla ricerca di una donna che lo soddisfi come madre (a cui è palesemente legato) e come amante. Perbenista per imposizione propria e impaurito da pulsioni oramai incontrollabili, vuole avere una seconda chance. Tristemente e con fare quasi algido abbandona la moglie, schiavo dei suoi desideri. Milenka, distrutta emotivamente, al contrario riemerge dalle sabbie mobili della situazione con grande tenacia e forza andando avanti per la sua strada. I due attori cantano inizialmente due canzoni diverse dettate dalla sonorità delle battute, ben presto soppiantate dall’intensità naturale che i due protagonisti esprimono.
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Lo spettacolo perde il valore sociale passato
Un vero e proprio omaggio a Bergman che nel 1973 riporta al cinema la versione della nota storia (nata inizialmente in episodi per la tv) smuovendo gli umori collettivi su un tema intimo come la relazione di coppia all’interno delle mura domestiche. Un argomento che oggi lascia quasi il tempo che trova in una società che corre a più non posso incurante degli altri. Se negli anni settanta la curiosità di una dinamica così privata poteva avere un certo appiglio sul pubblico, al giorno d’oggi non è propriamente così. Lo stereotipo della donna poco emancipata, che non riesce a liberarsi dal marito che non ama per una questione di immagine e di abitudine (come lui del resto), non regge. Ci siamo liberati da certe dinamiche tempo addietro ed è per questo che lo spettacolo perde il valore sociale passato.
Il nostro commento
Le relazioni a due mutano a seconda dell’epoca in cui sono nate, con esse le formalità e i comportamenti, quindi questa condizione umana non può essere considerata come una costante comportamentale e su cui riflettere. Cosa vuole raccontarci dunque Bergman oggi? Il male interiore, il non detto che provoca instabilità emotiva e rabbia repressa nei confronti di chi si è amato, l’affinare “L’arte di nascondere bene la spazzatura sotto il tappeto”. Il dubbio incessante di aver sbagliato tutto nella vita e di non poter abbandonare le abitudini, fatte anche di persone. Sembra stagnare qualcosa nella rappresentazione, forse un situazione interiore troppo complessa da descrivere a parole che racconta quanto realmente non ci conosciamo a fondo, terrorizzati dal cambiamento e dalla visione che l’altro può avere di noi.
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Siciliana, anno 1984 . Ho sempre fatto qualcosa inerente l’arte. Danza fino a 20 anni per poi innamorarmi del canto e della recitazione. Ho frequentato l’istituto d’arte della mia città, diventando decoratrice pittorica. Mi specializzo nelle arti performative frequentando una scuola di musical, un’accademia di recitazione. Infine conseguo la laurea alla Sapienza, sempre in teatro. Attualmente sono un’attrice, cantante e regista teatrale; ma non si sa mai! Non si smette mai di imparare, mai.
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