Marta Cavicchioni: “L’arte è resistenza. Ho iniziato disegnando cavalli”
Last Updated on 31/03/2020
Marta Cavicchioni si approcciò all’arte disegnando cavalli. Era bambina, e le piacevano tanto. In quegli anni “attingeva” da dove poteva, tra libri e corsi. Poi “dal fare è passata all’osservare”, ci racconta. E tutto è cambiato.

Il Liceo Artistico e l’Accademia di Belle Arti prima, la scultura del legno e il corso da grafica pubblicitaria poi. Marta Cavicchioni negli anni ha lavorato come decoratrice e scenografa, sia per la tv che per il cinema. Continuando quindi a disegnare e a creare, pubblicando anche fumetti e fiabe illustrate, realizzando brevi animazioni e ideando nuovi personaggi.
Abbiamo contattato Marta Cavicchioni per porle cinque domande. Per farci raccontare la sua arte e l’amore che nutre per essa…
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Cosa è l’arte per te?
Per me l’arte è uno dei mezzi di resistenza della capacità di immaginare contro la negazione della propria e altrui umanità. Insomma, uno strumento sociale.
A quando risale, e come andò, il tuo primo approccio con l’arte?
Disegno e creo da quando ne ho memoria. I primi soggetti erano i cavalli, che adoravo. Avevo un libro, Il grande libro dei cavalli, e copiavo ogni immagine che trovavo. A sei anni, ho imparato a dipingere al centro anziani dietro casa mia, ero diventata la mascotte del corso. Il primo approccio è stato “fare”, quindi ho imparato a “osservare” e a “sentire”. Ed è stato bellissimo.
Chi sono i tuoi “maestri”?
Mi fa sorridere l’arte che parla di se stessa. Penso che l’arte sia uno strumento sociale. O, perlomeno, è la sola tipologia di arte che mi interessa. Se devo fare proprio dei nomi mi vengono questi: Virginia Woolf, Giulio Carlo Argan e Walter Benjamin.
I loro scritti infatti sono quanto di più ispirante possa aver mai trovato a livello artistico. Di artiste e artisti di riferimento ne ho tantissimi, perché sono una spugna. Però non mi interessa che siano conosciuti o meno. Al punto che non riesco a sintetizzarli neppure in un genere artistico.
Quale sentimento prevale, e magari quali ricordi, nella fase dell’ideazione del soggetto?
La curiosità, non c’è null’altro a priori. Si muove tutto intorno a un’intuizione. Ho solo una necessità che seguo sempre, ossia quella di mettermi in relazione. Non voglio, infatti, che sia un monologo, ma un dialogo. Voglio creare prospettive, voglio sviluppare possibilità. Non voglio dare linee guida, risposte o soluzioni, bensì aprire delle porte. Studio tanto e scopro inoltre parti di storia a me sconosciute, figure nuove a cui ispirarmi. Faccio ricerca che mi può portare in qualsiasi campo.
Prossimi progetti.
Il prossimo progetto è una collettiva sul riscaldamento globale “Uro/boro”, programmata per giugno alla Galleria SpazioCima. Ho invitato alcune artiste e artisti a confrontarci su un tema a me caro, l’essere in relazione con l’ambiente in cui viviamo. Ormai non possiamo più far finta di nulla e l’arte può accompagnarci a un cambio di rotta che sia collettivo.
Dietro ogni crisi si apre una possibilità di trasformazione che in questo caso è fare comunità. Vivere pensando anche agli altri e all’ambiente di cui facciamo parte, così da avere ancora un’idea di futuro.
Tre opere (tue) a cui sei più affezionata.
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Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.