Storia dell’arte: il Novecento italiano in cinque artisti
Last Updated on 02/03/2021
Focus sui maestri che hanno lasciato il segno nella storia dell’arte del Novecento italiano: Giorgio De Chirico, Giorgio Morandi, Remo Squillantini, Alberto Burri e Lucio Fontana

Giorgio De Chirico, Giorgio Morandi, Remo Squillantini, Alberto Burri e Lucio Fontana: i cinque “grandi” del Novecento italiano.
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Tra irreali silenzi e il frenetico rumore dei vizi dell’epoca moderna: De Chirico, Morandi e Squillantini
Nelle opere metafisiche di Giorgio De Chirico (1888 – 1978) dominano spazi vuoti, tra i quali emergono, isolati e granitici, edifici, monumenti o oggetti di uso quotidiano decontestualizzati. Tali inserimenti provocano un effetto enigmatico, un senso di straniamento. Contribuiscono a queste lucide assurdità le larghe campiture di colore piatto, che creano netti contrasti tra luce e ombra.
Sono atmosfere che ispireranno i surrealisti. È il caso de La torre rossa, del 1913, custodita presso la Pegghy Guggenheim Collection di Venezia. Dal tacito paesaggio urbane fa capolino, non totalmente visibile, una statua equestre dalla resa simile ad un’ombra. Un’evasione dalla logica convenzionale che conduce l’osservatore ad un momento interrogativo.

Immote sono anche le tele di Giorgio Morandi (1890 – 1964), ossessionato dalle nature morte. Le sue bottiglie, i suoi contenitori si distinguono per i pochi colori tenui e piatti e il rigore rappresentativo. Intento del pittore è la rappresentazione degli oggetti così come risultano dai processi ottici umani, in termini puramente geometrici. Notevole è l’influenza cezanniana.
Si presti attenzione all’opera Natura morta del 1951, custodita presso il Museo Morandi di Bologna e qui riportata. Essa rivela un accurato studio circa il rapporto spaziale tra gli oggetti rappresentati e lo sfondo. Così isolati rispetto al resto della tela, essi acquistano una autorevole solennità.

Giorgio Morandi, Natura morta, 1951, Museo Morandi, Bologna
De Chirico, Morandi e Squillantini
Ai silenzi metafisici di De Chirico e Morandi fanno da contraltare i chiassosi interni di Remo Squillantini (1920 -1996). Se nelle opere dei due artisti precedenti la figura umana è bandita, essa diviene invece protagonista nel repertorio del maestro fiorentino. Donne goderecce, ammiccanti e lascivie si muovono in interni fumosi, tra sonorità assordanti.
È la comédie humaine dei vizi della società moderna, di cui Squillantini diviene il narratore fuori campo. Fervido esempio di queste atmosfere è il Caffè chantant, olio su tavola in collezione privata. Due donne dagli abiti succinti si esibiscono sul palco destreggiandosi tra le reazioni del pubblico maschile.

Lucio Fontana e Alberto Burri: i grandi del Dopoguerra
Fil rouge della poetica di Alberto Burri (1915 -1995) è il concetto di consunzione. L’artista infatti lo esperisce con i celeberrimi sacchi e poi con le combustioni. Fino ad arrivare ai cretti, cui approda negli anni Settanta. Si tratta di composizioni realizzate con una mistura di caolino, vinavil e pigmento, fissata su cellotex.
Bianchi o neri, i suoi cretti vogliono riprodurre la terra essiccata per via della mancanza di acqua. Senza questo elemento essenziale, rimangono solamente dei miserabili resti della vita che fu.

Se Burri quindi indaga l’espressività della materia, Lucio Fontana (1899 -1968) è invece il fondatore del movimento spazialista. Desideroso di rompere con la pittura da cavalletto, dal 1949 si concentra sulla ricerca della terza dimensione. I risultati di questa elaborato percorso sono una serie di tagli e buchi, grazie ai quali la superficie della tela entra in relazione con lo spazio, rompendo con l’illusione prospettica. Quindi spazio inteso come materia da modificare.
«Scoprire il Cosmo è scoprire una nuova dimensione. È scoprire l’infinito. Così bucando questa tela – che è la base di tutta la pittura- ho creato una dimensione infinita. Qualcosa che per me è la base di tutta l’arte contemporanea». Il suo pensiero è sapientemente testimoniato dall’opera Concetto spaziale. Attese, del 1967, della collezione Intesa San Paolo.

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Ivan Caccavale, classe 1991, storico e critico d’arte. Attratto da forme, colori e profumi sin da bambino, mi sono formato presso il liceo classico. Ho imparato che una cosa bella è necessariamente anche buona (“kalòs kai agathòs”).
Come affermato dal neoplatonismo, reputo la bellezza terrena un riverbero della bellezza oltremondana. Laureato in studi storici-artistici, mi occupo di editoria artistica.
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