I promessi sposi: incipit, titolo e nomi dei protagonisti erano diversi
La scoperta di un manoscritto, esposto in una teca al Museo manzoniano di Lecco, svela il titolo originario. I protagonisti, inoltre, non erano Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, ma Fermo Spolino e Lucia Mandelli. Era diverso anche l’incipit…

“Correva l’anno 1628, quando due giovani persone d’una terra presso Lecco, di bassa condizione, dovevano all’indomani presentarsi al parroco Don Abbondio per la celebrazione del loro matrimonio”. Era questo l’incipit della prima stesura, datata 24 aprile 1821, del romanzo di Alessandro Manzoni ‘I promessi sposi’.
I protagonisti non si chiamavano Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, ma Fermo Spolino e Lucia Mandelli
In realtà si scopre, col manoscritto esposto in una teca al Museo manzoniano di Lecco, che il titolo originario era “Gli sposi promessi”. I protagonisti, inoltre, non si chiamavano Renzo Tramaglino e Lucia Mondella, ma Fermo Spolino e Lucia Mandelli. Il libro, opera di un copista, presenta due parti: un compendio del volume ‘Gli sposi promessi’ e una trascrizione della lettera inviata a Cesare D’Azeglio sul Romanticismo. Lo rivela Mauro Rossetto, direttore scientifico del museo.
Ancora non si sa chi trascrisse il primo romanzo e quali sono stati i passaggi di proprietà del manoscritto
Secondo Paola Italia, docente di Filologia classica all’Università di Bologna, il titolo che appare sul manoscritto ‘Gli sposi promessi’ non è solo il nome della seconda minuta, cioè la riscrittura del Fermo e Lucia, ma il vero titolo della prima stesura. Ancora non si sa chi trascrisse il primo romanzo e quali sono stati i passaggi di proprietà del manoscritto, acquistato in una libreria antiquaria milanese dai Musei civici lecchesi.
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Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.