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Intimations, il lockdown del 2020 secondo Othello De’Souza-Hartley e Silvia Rosi

Dal 7 luglio al 24 settembre, presso la galleria romana Matèria, “Intimations”, la prima doppia personale a Roma di Othello De’Souza-Hartley e Silvia Rosi, curata da Alessandra Migani

Dal 7 luglio al 24 settembre, presso la galleria romana Matèria, “Intimations”, la prima doppia personale a Roma di Othello De’Souza-Hartley e Silvia Rosi, curata da Alessandra Migani. La mostra, realizzata in collaborazione con Autograph ABP e la Collezione Donata Pizzi, nasce dall’idea di indagare il lavoro dei due artisti rispetto a un progetto originariamente commissionato da Autograph ABP di Londra nel 2020 per rispondere agli effetti della pandemia.

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Le opere in mostra

Othello De’Souza-Hartley e Silvia Rosi sono accomunati dall’utilizzo magistrale dell’autoritratto fotografico, dall’indagine introspettiva e dalla performance, presi in una dimensione di sospensione forzata, evocano, con il loro lavoro, un forte senso di intimità, solitudine, isolamento e incertezza.

Il lockdown per De’Souza-Hartley e la perdita del padre

De’Souza-Hartley e Rosi vivono il primo lockdown londinese del marzo 2020 con uno stato emotivo significativamente differente. De’Souza-Hartley subisce l’improvvisa perdita di suo padre a causa di complicazioni legate al virus Covid-19. La proposta che riceve da Autograph ABP – e con lui altri nove artisti – di creare un lavoro in risposta alla pandemia, si trasforma in un’occasione per affrontare il lutto oltre che alla possibilità, insperata, di ‘attraversare il dolore’.

L’artista si confronta da subito con l’assenza del padre. Le foto che scatta riproducono l’immobilità e il silenzio. E poi c’è il tempo. Un tempo nuovo, dilatato, penetrabile. L’artista affronta il lutto, ma lo vive in isolamento forzato. Così le lunghe giornate in casa, l’albero che ogni giorno vede dalla sua finestra acquistano una una forza incredibile.
Mentre la specie umana vive rintanata e impaurita da un virus, la natura offre un anelito di vita, uno spazio meditativo. Così l’artista decide di filmare l’albero che gli ha regalato una possibilità di trasformazione. Blind but I can see – video in mostra – riflette su quanto, sempre più spesso, diventiamo ciechi rispetto a quello che sta di fronte agli occhi, presi dalle incombenze quotidiane.

La solitudine dell’isolamento per Silvia Rosi

Anche Silvia Rosi si trova ad affrontare il lockdown in circostanze emotivamente fragili. L’artista, infatti, rientra a Londra da Lomé (TG), dove si era recata per i funerali della nonna. Senza aver ancora elaborato il lutto, si ritrova costretta a isolarsi. Rosi vive la solitudine dell’isolamento all’interno del suo appartamento londinese che, se da una parte sembra essere un riparo sicuro dal pericolo esterno, dall’altra si trasforma quasi in un’amara prigione. Quando l’artista deve uscire per fare la spesa, si prepara in maniera quasi maniacale e ricrea una sorta di rituale ripetitivo. I gesti quotidiani, fatti spesso senza neanche pensarci, diventano movimenti misurati, pensati, vissuti, ritualizzati.

Rosi decide di ‘attraversare’ l’inquietudine di quei giorni rimettendola in scena; costruisce fisicamente un cubo/stanza nella quale rientrare e re-immaginarsi solamente quando è pronta a rivivere quei momenti e a fotografare. Neither could exist alone prende forma e si espande verso una riflessione sulle strutture che costruiamo attorno a noi, credendo ci possano proteggere dalla sofferenza e, invece, ci isolano trasformando inevitabilmente le relazioni umane.

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