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Aldo Braibanti, la vera storia de “Il Signore delle formiche”

Gli anni tra il 1964 e il 1968 dello scrittore e filosofo Aldo Braibanti sono stati recentemente raccontati, seppur in forma romanzata, nel film “Il signore delle formiche”, diretto da Gianni Amelio…

Aldo Braibanti (Fiorenzuola d’Arda, 17 settembre 1922 – Castell’Arquato, 6 aprile 2014) è stato scrittore, sceneggiatore e drammaturgo italiano. Nella sua vita si è occupato di arte, cinema, politica, teatro e letteratura, oltre ad essere un appassionato mirmecofilo. Il film “Il signore delle formiche”, diretto da Gianni Amelio, presentato alla 79esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ne ripercorre gli anni tra il 1964 e il 1968, in forma romanzata, con l’interpretazione di Luigi Lo Cascio.

Qui vi proponiamo, invece, le tappe principali della sua vita, tra quelle che il film non racconta alle posizioni “intellettuali” a suo favore, senza tralasciare la grande differenza tra realtà e film.

La passione per formiche, api e termiti

Aldo Braibanti trascorre l’infanzia a Fiorenzuola d’Arda, accompagnando spesso il padre medico condotto nei ripetuti spostamenti attraverso la provincia piacentina, dove ben presto scopre la centralità del mondo naturale e sviluppa in particolare l’interesse per i costumi degli insetti sociali: formiche, api e termiti. In pieno periodo fascista vive “in una famiglia illuminata e ferma nel rifiuto di ogni situazione autoritaria e clericale”.

I suoi studi

Tra i suoi interessi scolastici vi sono Dante, Petrarca, Carducci, Pascoli e D’Annunzio, ma soprattutto Leopardi e Foscolo ed è in quel periodo che inizia la sua attività poetica, abbandonando subito la rima e le tradizioni stilistiche per scrivere “poesie in libertà”. Dal 1937 al 1940 a Parma frequenta il Liceo classico Romagnosi. Si trasferisce a Firenze e si iscrive alla facoltà di Filosofia, dove nasce l’amore per Leonardo, Giordano Bruno e soprattutto Spinoza.

Gli anni della Resistenza Partigiana

Dal 1940 prende parte alla Resistenza partigiana a Firenze, partecipa alla nascita dei primi movimenti intellettuali antifascisti, aderisce al movimento “Giustizia e libertà” e nel 1943 al Partito Comunista clandestino. Nel 1946 è tra gli organizzatori del Festival mondiale della gioventù che si svolge l’anno successivo a Praga e diviene collaboratore del PCI in qualità di responsabile della Gioventù Comunista toscana. Nel 1947 abbandona la politica attiva e sceglie di dedicarsi ai vari aspetti culturali in primo luogo quelli artistici.

L’esperienza della Torre

Sempre nel 1947 inizia l’esperienza comunitaria del torrione Farnese di Castell’Arquato. A questo punto finalmente Braibanti può dedicarsi alla poesia, alla scrittura di opere teatrali, a sceneggiature, ma anche ai suoi formicai artificiali e a un profondo contatto con la realtà ecologica del tempo. Ad un certo punto l’amministrazione comunale di Castell’Arquato non rinnovò più il contratto d’affitto per la torre. Il laboratorio venne chiuso e ogni membro iniziò un percorso indicato dalle proprie tendenze culturali e artistiche.

Il trasferimento a Roma

Nel 1962 si sposta a Roma, in quel periodo lavora a teatro con un giovane Carmelo Bene, riprende le collaborazioni con Sylvano Bussotti e Vittorio Gelmetti, che conobbe nel periodo della torre. Collabora per un breve periodo alla fondazione dei Quaderni Piacentini insieme ai fratelli Piergiorgio e Marco Bellocchio. Fino al 1968 Braibanti lavora su una complessa operazione teatrale dal titolo Virulentia.

La collaborazione con l’amico Giovanni Sanfratello

Giunto a Roma nel 1962, Braibanti continua la sua ricerca e per un anno e mezzo chiede e ottiene la collaborazione dell’amico Giovanni Sanfratello, un giovane di 23 anni che aveva conosciuto nel periodo del laboratorio artistico del torrione Farnese di Castell’Arquato. Il 12 ottobre 1964 Ippolito Sanfratello, padre di Giovanni, presenta denuncia alla Procura di Roma contro Braibanti: l’accusa è di plagio. In pratica, Braibanti veniva accusato da Sanfratello di aver influenzato suo figlio e di avergli imposto le proprie visioni e i propri principi. In realtà s’intendeva perseguire la relazione omosessuale dei due.

Il manicomio, l’internamento, gli attacchi dei giornali di destra

I primi di novembre quattro uomini irrompono nella pensione romana in cui i due erano ospitati e portano via Giovanni con la forza, in una macchina dove era presente anche il padre: Giovanni sarà trasferito prima a Modena in una clinica privata per malattie nervose, poi al manicomio di Verona dove subirà, secondo Alberto Moravia, “un grande numero di elettroshock e vari shock insulinici. Giovanni dopo 15 mesi di internamento fu dimesso, con una serie di clausole che andavano dal domicilio obbligatorio in casa dei genitori al divieto di leggere libri che avessero meno di cento anni. Giovanni Sanfratello, nonostante tutto, al processo dichiarò di “non essere stato soggiogato dal Braibanti”. Alcuni giornali della destra ufficiale si scagliano contro quello che chiamano “il professore”, “il mostro”, “l’omosessuale”.

A favore di Braibanti si mobilitarono Alberto Moravia, Elsa Morante, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Marco Bellocchio, Adolfo Gatti, Giuseppe Chiari

Dopo un processo durato 4 anni, nel 1968, Aldo Braibanti viene condannato a nove anni, che in appello diventano quattro, pena confermata in Cassazione. Scontò due anni di carcere e gli altri due gli furono condonati perché partigiano della Resistenza. La condanna suscitò ampia eco in tutta Italia: a favore di Braibanti si mobilitarono Alberto Moravia, Elsa Morante, Umberto Eco, Pier Paolo Pasolini, Marco Bellocchio, Adolfo Gatti, Giuseppe Chiari e numerosi altri intellettuali.

Il quotidiano del Partito comunista italiano, l’Unità, lo difese con grande coraggio, tanto che il giorno della condanna apparve in prima pagina un editoriale del suo Direttore Maurizio Ferrara, anche lui ex-partigiano, in cui si denunciava il clima oscurantistico che il processo evocava.

Gli ultimi anni in miseria e la sua morte

Nel 2005 gli viene comunicato uno sfratto dalla sua casa in via del Portico di Ottavia a Roma, in cui abitava da quarant’anni, una vecchia casa al centro di Roma in cui Braibanti viveva con la pensione sociale minima. Nel 2008 lo stabile in via del Portico d’Ottavia cambia proprietà e poco tempo dopo Braibanti e la sua biblioteca composta da migliaia di volumi sono costretti ad abbandonare la casa. Braibanti passa gli ultimi anni a Castell’Arquato, in gravi ristrettezze economiche. Muore a Castell’Arquato, per arresto cardiaco, il 6 aprile 2014, all’età di 91 anni.

La principale incongruenza con il film

L’Unità, organo ufficiale del PCI, prese in realtà posizione in favore di Braibanti e contro la sentenza, tanto che il giorno dopo la pronuncia pubblicò in prima pagina un editoriale del suo direttore, l’ex partigiano Maurizio Ferrara, contro il processo stesso e i suoi contenuti.

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