“Quel che resta oltre il buio”: la recensione
Last Updated on 15/05/2019
“Quel che resta oltre il buio”, edizioni Nulla Die, è il secondo libro di Massimo Polimeni. L’autore torna alla sua cara Sicilia con una storia che può definirsi uno spin off del suo primo romanzo. Tornano quindi le atmosfere ed i personaggi di “In Sicilia, un ‘estate” scegliendo di seguirne alcuni piuttosto che altri e tutto ha inizio laddove ci si era lasciati. Quindi dalla morte del professor Nòcita.
LA TRAMA – Il colonnello Quattrocchi della Guardia di Finanza è promosso a protagonista del libro cercando di risalire ai responsabili di un omicidio che qualcuno vorrebbe far passare per un suicidio. L’indagine farà il suo corso, non mancheranno crimini e sacrifici, destini non scelti, viltà e lealtà, arrivando alla fine a delle verità che, come di solito ci si dimentica nella vita, sono soltanto vittorie di tappa.
“La vita è ciò che ci accade mentre ci occupiamo di altro”, Polimeni sembra prendere in prestito questa massima di Raffaele La Capria mentre, procedendo nella lettura ,si scopre che l’inchiesta del colonnello Quattrocchi è in realtà un’indagine su se stesso, sulla propria esistenza e sulle scelte che l’hanno fin qui caratterizzata, ora che è giunto dinanzi ad un bivio che potrebbe essere l’ultimo.

LA MALATTIA – Il colonnello Quattrocchi, Anselmo per familiari e amici, è malato di cancro ed è impegnato in un difficile percorso di cura. Con la malattia, il lavoro svolto con la consueta dedizione lascia il posto alla riscoperta degli affetti, il professionista cede il passo all’uomo, quasi che le ferite accumulate nel tempo debbano sublimarsi e trovare nuovo senso di fronte a questa ulteriore prova.
Quel che resta oltre il buio: la forza della comprensione
ALa riscoperta del valore di sé nostante tutto sembri volgere al peggio, della capacità di produrre significato per sé e per gli altri. È la riscoperta della possibilità di accogliere l’altro e condividere con lui esperienze a partire dal racconto del proprio passato. È finalmente darsi pace, riprendersi delle libertà, imparare di nuovo a fidarsi, con la consapevolezza che il tempo abbia insegnato a chi si ha di fronte la sapienza del non giudicare.
È la forza della comprensione, il sentirsi compreso, che ci permette di riscoprire l’altro come una nuova possibilità, di riavvicinarci ad un fratello perso di vista perchè non ne abbiamo condiviso le scelte, di aprirsi all’amore per una donna ed una bambina di differente cultura, di riappropriarsi di un spazio, la famiglia, che il lavoro aveva anestesizzato.
LA FORMA – È per questo che l’indagine sulla morte del professor Nòcita sembra quasi una pietra di inciampo, un pretesto per inseguire qualcos’altro. Il libro stesso rappresenta un’età di passaggio, un processo di approdo verso qualcosa che speriamo l’autore riesca a definire dentro se stesso e raccontare al meglio in un suo prossimo lavoro, per ritrovarne la prosa semplice e misurata, il linguaggio snello e migliorato rispetto al testo d’esordio, le citazioni pertinenti e mai banali.
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Classe 1977, consulente di comunicazione. Vivo fra Roma e l’Umbria. Prima e dopo la laurea sono passato per varie reincarnazioni: sarto, guerrilla marketer, responsabile ufficio stampa nel settore del trasporto aereo, ghost writer. Mi occupo dello sviluppo di progetti editoriali e organizzo festival letterari. Leggo libri, da scrittore sospeso ne scrivo recensioni.
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