Cinema e arte: “Basquiat” di Julian Schnabel
Last Updated on 03/06/2019
Il primo film di Julian Schnabel è il ritratto olio su tela di un artista complesso, ma anche di un’epoca, di una certa New York e del regista stesso
“Basquiat” di Julian Schnabel, USA, 1996, 108 min.

Erano i primi anni 80 quando il ventenne Jean-Michel Basquiat divenne il primo artista di colore di fama internazionale. Una fama agognata, ma tanto travolgente da essere violenta, e il cui impatto consumò l’artista in fretta. Julian Schnabel, grande pittore saltuariamente prestato al cinema (Lo scafandro e la farfalla, Van Gogh – sulla soglia dell’eternità) e amico di Basquiat, racconta una storia che conosce bene e che lo vede tra i personaggi principali (nascosto dallo pseudonimo Albert Milo, interpretato da Gary Oldman).
Il cast è stellare: oltre al protagonista Jeffrey Wright (Westworld, Hunger Games) e Oldman ci sono Willem Dafoe, Christopher Walken, Dennis Hopper, Benicio Del Toro, Kristin Scott Thomas, Curtney Love e David Bowie nell’iconico ruolo di Andy Warhol.
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La trama del film
Jean-Michel Basquiat è un giovane street artist creolo che vive per strada, dorme in scatoloni e sogna la fama. Suona in una band, lascia scritte criptiche sui muri di New York firmandosi SAMO (same old shit) e dipinge cartoline e quadri molto particolari, quasi infantili. Gli anni 80 stanno iniziando, ma la città è ancora quella della Factory di Warhol e del punk, quella New York in cui nello stesso party puoi trovare l’affermato critico d’arte, il ricco mecenate e il pittoresco sottobosco degli artisti squattrinati in cerca di un gallerista. Così Basquiat, grazie a una serie di incontri fortunati, intraprende il cammino verso la fama, ma la dipendenza dalle droghe e la solitudine lo porteranno all’autodistruzione.
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Il nostro commento
Qui alla sua prima opera cinematografica, Julian Schnabel porta sullo schermo non solo la storia di Basquiat, ma anche parte della sua (nel film appaiono anche i suoi genitori e i suoi figli). Sullo sfondo ci sono gli ultimi anni di Andy Warhol, che con la sua morte segnò la fine di uno dei periodi più importanti della storia dell’arte contemporanea.
Questa pellicola è un personalissimo omaggio del regista, o forse un definitivo addio, all’era della Factory e a un artista che ha segnato la sua vita e la sua arte. E, proprio perché assolutamente personale, il film evita i cliché del solito biopic.
Schnabel dipinge un ritratto del “suo” Jean-Michel Basquiat attraverso ricordi e sensazioni e cerca di immaginare il mondo visto dai suoi occhi: gli occhi di un artista ventenne votato all’autodistruzione, ma che, quando alza gli occhi al cielo, vede le onde dell’oceano.
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Mio padre è Andrej Tarkovskij, mia madre è Sarah Connor. Onnivora di cinema, ho imparato a memoria IMDB. Vorrei vivere dentro “L’Eglise d’Auvers-sur-Oise” di Van Gogh, essere fotografata da Diane Arbus e scolpita da Canova. Vorrei che Hemingway scrivesse di me, che Hendrix mi dedicasse una canzone e che Renzo Piano mi intitolasse un grattacielo. Per quest’ultimo sono ancora in tempo.
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