“L’ora del mondo” di Matteo Meschiari – La recensione del libro
Last Updated on 19/12/2019
L’ultima prova narrativa di Matteo Meschiari ci porta in un mondo magico eppure familiare, specchio del rapporto atavico tra natura e cultura

Matteo Meschiari, L’ora del mondo, Hacca 2019, 174 pp. Euro 15
La vicenda
Libera è una bambina dei boschi, le manca una mano e non è abituata a camminare in posizione eretta. È una bimba-animale che partecipa direttamente della natura e del paesaggio in cui vive, lontano dalla cosiddetta civiltà e dalle vicende umane. Un giorno l’Uomo-Somaro le assegna una missione: ritrovare il Mezzo Patriarca Perduto. È una missione di salvataggio e la posta è altissima: in gioco ci sono gli equilibri della Natura e forse anche il destino della specie umana. Libera deve allora lasciare i boschi dell’Appennino tosco-emiliano e raggiungere Modena, alla ricerca del Patriarca.
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Una letteratura “altra”
In L’ora del mondo di Matteo Meschiari va in scena l’epica del paesaggio. L’autore oltre ad essere romanziere è antropologo, studioso di paesaggio e di wilderness; il romanzo rivela una concezione “altra” della letteratura che proprio sulla centralità della natura ha il suo perno. È una visione che ha il sapore di un ritorno ad una letteratura poco frequentata. I “padri nobili” si rivelano più o meno esplicitamente. Gli spunti danteschi nei titoli dei capitoli sfumano negli odori simbolici d’Appennino, che in più d’un punto ci ricordano i Canti di Castelvecchio di Pascoli.
Il paesaggio
Il paesaggio torna protagonista, si affranca dalla condizione di “sfondo”, di bella illustrazione. La memoria “vegetale” svela la realtà per quello che è: l’infinito flusso della vita, al di là e oltre le strutture convenzionali della cultura. È una visione del mondo e della letteratura che nella storia della cultura ha avuto un ruolo minoritario. Il romanzo mette infatti l’uomo al posto che gli spetta: lo toglie dal centro e gli restituisce la propria marginalità rispetto alla vastità della Natura. E anzi questa Natura, come sistema cosmico, ritrova una centralità che è importante ritrovare anche nella letteratura contemporanea.
La poetica della natura
Gli echi “cosmici” di questo genere si stemperano in un’ambientazione da realismo magico; e ancora di più fanno pensare a certe fiabe nere di Tommaso Landolfi. Ci si aspetta, in ogni pagina, di incontrare Gurù, la capra mannara del romanzo La pietra lunare). La visione di Meschiari è poetica nel senso etimologico del termine; è una poesia delle cose che si esplicita in una ricerca di stile che tenta di andare oltre certe convenzioni trite del romanzo italiano contemporaneo.

L’epica tosco-emiliana
È interessante notare, come questo romanzo si inserisca in un filone che negli ultimi tempi ha dato buoni frutti. L’opera sia accosta infatti ad altri romanzi che hanno tentato un’epica della Natura (e dell’Appennino) dal sapore apocalittico. Ci riferiamo a romanzi come Il giro del miele di Massimo Campani o La festa nera di Violetta Bellocchio. Sono tutte opere che, pur nella loro diversità, sono accomunati da una visione del paesaggio lontana dal puro descrittivismo. Punto d’incontro è una visione della Natura come elemento strutturale e simbolico della narrazione (in senso quasi herzoghiano).
Natura e stile
Libera è una sorta di entità guida, così come l’Uomo-Somaro o le piante parlanti. Sono personaggi archetipici: la protagonista è una sorta di Kaspar Hauser dell’Appennino, autonoma e selvaggia. Figura integrata nel paesaggio, si fonde con questo in una visione d’insieme che è al tempo stesso utopica e apocalittica. Il mondo descritto è fiabesco e ripesca una tradizione orale che si perde nella notte dei tempi. Le storie racchiudono le strutture primarie del rapporto dell’uomo col mondo e con la vita nel suo flusso infinito. Anche in questo il romanzo è intimamente “pascoliano”, perché cerca di penetrare la realtà “cosmica” delle cose (le piante, gli alberi, le colline…); lo fa attraverso un recupero “atavico” di un paesaggio e di un linguaggio che sono forse l’unico ponte verso la modernità, verso l’èra nuova.
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“Come saremmo colti se conoscessimo bene solo cinque o sei libri”, scriveva Flaubert.
Luca Verrelli cerca di essere un buon lettore.
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