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Intervista a Marzia Bianchi: “L’invisibilità non è un superpotere”

Last Updated on 28/11/2019

Fino all’8 dicembre potrete visitare la sua mostra “L’invisibilità non è un super potere” nell’atrio centrale dell’ospedale San Carlo di Milano.

Radiografie di ossa rotte, lussazioni, slogature e coltellate, fotografie di donne lontane, fuori inquadratura, coperte da oggetti in primo piano, mai visibili del tutto, e brevi racconti di vita quotidiana fatti da chi la sua vita l’ha vissuta come una prigione, con marito, fidanzato o compagno come carceriere.

Tutto questo è la mostra “L’invisibilità non è un super potere”, nata da una collaborazione dell’ospedale San Carlo di Milano con la Fondazione Pangea Onlus e realizzata dalla fotografa Marzia Bianchi. Una mostra necessaria, che scuote gli animi, che denuncia un problema grave, reale, concreto come quelle ossa spezzate, ma che vuole anche essere un faro per donne che rivedono loro stesse in quei brevi racconti. Abbiamo fatto qualche domanda a Marzia Bianchi per sapere di più sulla mostra e su di lei.

Come nasce l’idea di questa mostra?

Esattamente un anno fa ho iniziato a collaborare con Fondazione Pangea nel progetto Reama, la rete di empowerment e auto mutuo aiuto, una rete di soggetti che lavorano a vario titolo per il contrasto della violenza di genere e l’empowerment femminile. In una delle prime trasferte Simona Lanzoni, vice presidente Pangea, mi ha detto che dovevo conoscere assolutamente la dott.ssa Maria Grazia Vantadori parte attiva della rete e chirurga al pronto soccorso dell’ospedale San Carlo di Milano.

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Cinque minuti dopo esserci strette la mano, con la dottoressa, abbiamo iniziato a fare brain storming. Abbiamo parlato delle nostre esperienze che seppur diverse avevano di base un fattore comune: il contrasto alla violenza di genere. Mi ha parlato delle donne martoriate dai propri compagni, mariti, fidanzati, che negli anni avevano avuto accesso al pronto soccorso e delle radiografie. Da li è nata l’idea di mettere insieme radiografie e frammenti di storie che avrei poi raccolto nel corso dell’ultimo anno.

E’ la prima volta che ti occupi di un tema così delicato come la violenza sulle donne?

No, ho sempre avuto a cuore alcuni temi, soprattutto quelli che riguardano le donne. Ho lavorato a diversi progetti fotografici, uno in particolare che mi sta molto a cuore dal titolo “Amazzoni”, che è in mostra tra l’altro in questi giorni, fino a marzo,presso la Coop Laurentina di Roma e che ho esposto un paio di volte in Gran Bretagna ma anche a Ostia e a Frosinone in uno studio dentistico. Credo sia importante sensibilizzare a 360 gradi, ovunque, il nostro Paese ha bisogno di un serio cambio culturale.

Hai incontrato personalmente le donne che racconti nelle tue fotografie?

Alcune si, le ho incontrate, con altre ho solo parlato al telefono. Reama organizza tra le varie attività delle giornate di formazione che oltre ad essere appunto dei momenti formativi hanno rappresentato per me, e non solo, un’opportunità di scambio di esperienze, di condivisione di momenti di vita particolarmente intensi e dolorosi. Ho voluto rappresentare in foto non solo il punto di vista della donna che subisce la violenza, ma anche quello della figlia o della vicina di casa che ascolta e non sa che fare. Alcune delle donne che sono in rete con noi sono state vittime di violenza o sono madri e/o familiari di vittime di femminicidio e ho imparato davvero molto da loro. Ho riportato le parole delle donne cercando di essere più “delicata” possibile perché le radiografie che abbiamo selezionato sono già di grande impatto.

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Ci tengo a sottolineare inoltre che pur essendo una mostra di denuncia il messaggio vuole essere in qualche modo “positivo” nel senso che ho toccato con mano che quando si fa rete sul serio, le donne riescono ad uscire dalle dinamiche violente. La prima cosa da fare non è dire alla donna di denunciare, ma piuttosto è sospendere il giudizio perché siamo abituati a giudicare le vite degli altri basandoci solo sulle nostre esperienze e sulla nostra vita. La violenza è trasversale e tocca tutti, non solo una categoria “svantaggiata”.

Sarà possibile vedere l’esposizione altrove?

La mostra nasce proprio come un progetto itinerante quindi, si, mi auguro proprio di si. Abbiamo ricevuto già alcune proposte per l’esposizione in altre città italiane. E’ importante mantenere viva l’attenzione anche dopo il 25 novembre.

Hai nuovi progetti in cantiere?

Si, uno riguarda sempre le donne e un altro invece è sull’autismo, altro tema a me molto caro. Ma non posso darvi troppe notizie altrimenti poi manca l’effetto sorpresa!

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