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Darek Blatta: “A sei anni volevo fare l’artista pazzo”

Cupo, alienante, surreale: lo stile di Darek Blatta, urban artist di origini pugliesi, si riconosce subito. Perché prima ti immobilizza, per la sua maturità, per i suoi dettagli lineari, per gli accostamenti cromatici. Poi ti rapisce, ti trasporta con sé, nella sua complessa dimensione, fatta di maschere, domande e incubi.

Cupo, alienante, surreale: lo stile di Darek Blatta, urban artist di origini pugliesi, si riconosce subito. Perché prima ti immobilizza, per la sua maturità, per i suoi dettagli lineari, per gli accostamenti cromatici. Poi ti rapisce, ti trasporta con sé, nella sua complessa dimensione, fatta di maschere, domande e incubi.

Darek Blatta nasce a Foggia nel 1980. Lavora su commissione copiando i capolavori della storia dell’arte e contemporaneamente affina il suo stile, esprimendo una ricerca cromatica ed estetica verso l’introspezione umana. Partecipa a mostre in gallerie e spazi autogestiti che favoriscono lo sviluppo della cultura underground, aggiudicandosi anche riconoscimenti in Italia e all’estero.

Abbiamo cercato di andare oltre ciò che appare. Per coglierne ragioni, emozioni e paure. Le nostre cinque domande a Darek Blatta…

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Cosa è l’arte per te?

Per me l’arte è come una spugna, assorbe tutto ciò che c’è intorno all’artista per poi rilasciare una “traduzione” di colui che la usa. Personalmente ho un rapporto di odio e amore con l’arte, un po’ come il tossico che non riesce a smettere di farsi.

Quando, e come, hai iniziato a esprimerti con l’arte?

Ricordo che a 3 anni disegnai un insetto, o roba simile, e mi diede quella sensazione che tutt’ora mi spinge a continuare. In prima elementare il maestro ci chiese cosa volessimo fare da grandi, la mia risposta fu “l’artista pazzo”. Nel’96, a 16 anni, feci il mio primo graffito illegale, a 18 scoprii la pittura ad olio e mi si aprii un mondo.

Nei tuoi soggetti c’è molto fantasy e horror: quali sono pittori e film che ti hanno ispirato maggiormente?

Sì, da piccolo ero fan di Zio Tibia e leggevo Edgar Allan Poe verso i 10 anni. Mia nonna fu prigioniera in un campo di concentramento e mi raccontava tutti gli orrori che subiva e vedeva. Credo che ciò abbia in qualche modo condizionato la mia propensione verso il macabro. Metropolis di F.Lang, le opere di Giger e Bosch ho sentito da subito che fanno parte del mio mondo. Ma è la musica ad ispirarmi maggiormente.

Le tue opere sono molto “fisiche”: nei tuoi soggetti qual è la parte che ti piace più ritrarre?

Non c’è una parte del corpo che preferisco ritrarre, ciò che mi piace è la disposizione delle volumetrie nella posa. Preferisco, infatti, raffigurare le donne, perché avendo più curve rendono una certa dinamicità tra ombre e luci anche in pose statiche. Negli ultimi anni amo avere una resa sempre più estetica piuttosto che espressiva.

Tre delle tue opere a cui sei più affezionato.

Le 3 opere a cui tengo di più sono quelle che riescono ad esprimere meglio le tematiche a me più care: l’isolamento e la resa degli oggetti trasparenti in”Addiction”, il puro senso estetico col mio tocco surreale in “Pennyroyal tea” e la psichedelica cupa in “Alice in Wonderland”.

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