Intervista a Debora Malis: “L’arte è il mio gioco serio”
La passione per l’arte di Debora Malis esplode quando, durante i suoi studi umanistici, si affaccia alla ceramica popolare. Ne rimane affascinata dalle sue forme bizzarre, cariche di storia e simbolismi. La passione divenne così prima collezione, poi studio e approfondimento...

La passione per l’arte di Debora Malis esplode quando, durante i suoi studi umanistici, si affaccia alla ceramica popolare. Ne rimane affascinata dalle sue forme bizzarre, cariche di storia e simbolismi. La passione divenne collezione, poi studio e apprendimento. Si iscrive alla Scuola di Arti Ornamentali di Roma, poi le visite degli studi dei grandi maestri ceramisti che fra gli anni Sessanta e Settanta hanno elevato l’arte ceramica. Per poi iniziare a sperimentare.
Il suo stile oggi è facilmente riconoscibile. Le sue figure vogliono rappresentare situazioni e stati esistenziali sospesi, mai ben definiti. Sempre veicoli di emozioni e stati d’animo. La narrazione è inscritta nella figura stessa, così i corpi si deformano o vengono immersi in situazioni surreali. All’elemento tetro, spesso presente e ricorrente sia nella cultura popolare che nelle forme espressive “metropolitane”, aggiunge anche una componente ironica. Lasciandole sospese tra profondità, tradizione e pop.
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Sette domande a Debora Malis, tra passato e futuro
Cosa è l’arte per te?
È una della discipline attraverso cui l’uomo si sublima. Amo la sua gratuità, sì, certo, esiste un mercato, ma il suo fine è la ricerca estetica ed intellettuale che porta alla realizzazione di un oggetto inutile da un punto di vista pratico. La sua utilità consiste nel dare piacere o nel mostrare un punto di vista originale, inaspettato o critico…insomma sarebbe un discorso lungo. Per me, intendo personalmente, è principalmente una passione, un piacere e una necessità insieme.
Nei tuoi soggetti è forte il contrasto tra la malinconia che appare e il sorriso che riescono a suscitare. Come ci riesci?
Credo dipenda dal fatto che la vita mi appaia tragicomica. Il mio carattere ha un’attitudine piuttosto malinconica e la mia visione del mondo non è proprio rosea ma non riesco mai a prendermi troppo sul serio, considero il mio lavoro un gioco serio. E poi, l’autoironia, guai a non averla.
L’arte è un percorso, mai un traguardo. Il tuo come sta evolvendo?
Le forme che creo sono meno stilizzate e deformate, pur essendo il pop sempre alla base di quello che faccio, sto naturalmente scivolando verso forme più armoniche. Ultimamente, sono ossessionata, come molti, dalla catastrofe ambientale che stiamo causando con il nostro modello di “sviluppo” economico e i nostri stili di vita (dai quali cerco di discostarmi il più possibile). Sto cercando di sviluppare un discorso tra il sé e la natura, creando soggetti che tentano ricongiungimenti con l’ambiente che non riescono mai, forse perché si è andati troppo oltre.
L’arte, per te, è più sogno o più realtà?
Più sogno ma non inteso come evasione, anche il sognante o il fiabesco o il poetico parlano di cose reali, figuriamoci l’inconscio!
Tre delle tue opere a cui sei più affezionata e perché.
“Cappuccetto e il lupo” perché è legata ad una mostra che mi ha portato fortuna e perché mi sembra riuscita la sintesi fra modernità e tradizione, fra pop e popolare in senso tradizionale.
“Queen” per il suo significato e perché è il lavoro che inaugura la ricerca di cui ho già parlato sul rapporto fra individuo e natura.
“Nia damo de Lampedusa” perché è un lavoro fatto, in collaborazione con mio marito Andromalis, sulla strada e per la strada.
Come è stata gestita, per quanto riguarda l’arte e gli artisti, l’emergenza sanitaria? Quali le misure che potrebbero essere utili per ripartire davvero?
C’è poco da gestire! L’arte prevede un pubblico, per sua stessa natura richiede scambio, condivisione, socialità. Certo fa un po’ pensare che le attività culturali siano state le ultime a riaprire. Ci sono stati tentativi interessanti sul web ma non sono la stessa cosa che dal vivo e comunque nessuna proposta sconvolgente. Almeno così mi sembra. Forse è troppo presto, occorre un po’ di distanza per elaborare questa esperienza dalla quale, peraltro, non siamo ancora usciti.
Prossimi progetti.
I progetti a cui dovevo partecipare questa estate sono quasi tutti saltati, sto preparando delle mostre per l’autunno ma ora non riesco a dare nulla per scontato. Comunque oltre alle mostre più tradizionali in galleria, sto valutando la proposta di un collettivo di artisti che stanno organizzando degli appuntamenti in piazza, dovrebbero avere la cadenza di una domenica al mese. Delle vere e proprie mostre, non mercati, all’aria aperta, un tentativo di resistenza alla pandemia.
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Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.