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Storia della letteratura latina (5) – Orazio, i capolavori del “poeta per caso”

Last Updated on 28/07/2022

Dopo Publio Virgilio Marone scopriamo un altro importante autore dell’età augustea, Quinto Orazio Flacco, e i suoi capolavori, dagli Epodi alle Satire

Orazio è senza dubbio il più grande poeta lirico dell’età augustea. Graffiante e bonario, scherzoso e malinconico: nella sua vasta produzione Orazio ha mostrato una sapiente varietà di toni e stati d’animo e ha raggiunto altissimi livelli in ciascuno di essi.

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Dalle umili origini ad Atene

Orazio nacque nella colonia romana di Venosa, nell’attuale Basilicata, nel 65 a.C., quando Virgilio aveva all’incirca cinque anni. Suo padre era un liberto che aveva un magro campicello e una casetta. Nonostante le modeste risorse, il padre volle per il figlio la migliore educazione e dopo la scuola a Venosa lo condusse perfino a Roma per farlo educare dai migliori maestri. Di questo Orazio sarà grato al padre per tutta la vita. In seguito, come tutti i giovani di nobile famiglia, andò ad Atene per perfezionare i suoi studi. La vita calma e raffinata di Atene fu sconvolta dalla notizia dell’assassinio di Cesare e dall’arrivo ad Atene di Bruto, con cui Orazio entrò in familiarità, lasciandosi attrarre dalle sue idee. Orazio entrò nel suo esercito e partecipò alla battaglia di Filippi nel 42 a.C., in cui il poeta afferma di essere riuscito a salvarsi dopo aver abbandonato lo scudo.

Orazio, “poeta per caso”

La sconfitta nella battaglia di Filippi lo rese povero e gli fu confiscato il podere del padre. Tornato a Roma grazie ad un’amnistia, Orazio si trovava da solo, privo di risorse, costretto a fare lo scriba quaestorius per sbarcare il lunario. In quel periodo oscuro Orazio sentì il suo primo impulso a scrivere versi. Nacquero così le sue prime prove poetiche: gli Epodi e le Satire.

Gli Epodi

Gli Epodi sono diciassette componimenti in metri vari, scritti tra il 41 e il 30 a.C. Essi sono tutti innervati dall’insofferenza di Orazio per le sue difficoltà dopo la battaglia di Filippi. È quindi aggressivo, aspro e polemico il linguaggio poetico dell’opera. Nel quarto epodo Orazio rivolge la sua invettiva contro un arricchito che sfoggia superbamente la sua ricchezza; nel decimo epodo augura al puzzolente Mevio, forse un poetastro, di fare un rovinoso naufragio.

Le Satire: “c’è una misura in tutte le cose, esistono dei limiti ben precisi…”

Nelle Satire l’invettiva degli Epodi si addolcisce. Orazio critica i comportamenti umani in modo ironico e benevolo. Non è un giudice severo, ma un osservatore attento, indulgente e divertito, che trae spunto dalla critica per riflettere su alcuni concetti chiave come la moderazione, il buon senso, l’autosufficienza interiore e l’amicizia. I personaggi che “attacca” fanno parte della vita quotidiana: parassiti, artisti, imbroglioni, popolo minuto.

Dedicata alla moderazione è la prima satira. Orazio afferma che gli uomini non sono mai contenti del loro mestiere: il soldato invidia il mercante, il mercante invidia il soldato eppure nessuno dei due vuole cambiare e fanno di tutto per arricchirsi sempre di più. Allora, dice Orazio “c’è una misura in tutte le cose, esistono dei limiti ben precisi, prima e dopo questi, si è fuori dalla giusta misura”.

L’amicizia con Mecenate

Gli Epodi e le Satire diedero ad Orazio grande notorietà e attirarono l’attenzione di Mecenate. Furono proprio Virgilio e Vario a presentare Orazio al consigliere di Augusto. Si dice che nel primo colloquio con lui, Orazio abbia balbettato solo poche parole. Pochi mesi dopo Mecenate lo fece chiamare e lo volle nella cerchia dei suoi amici. Tra i due si instaurò una profonda amicizia: Mecenate non sa fare a meno della compagnia dell’amico ed è di malumore quando è lontano da lui. Mecenate donò ad Orazio una villa in Sabina e la sua protezione gli garantì quella tranquillità economica di cui aveva bisogno per dedicarsi alla poesia.

Le Odi

Sono infatti proprio le Odi a consacrare Orazio come il più grande poeta lirico di età augustea. Nel 23 a.C. pubblicò i primi tre libri e, dieci anni dopo, il quarto. Le Odi, ispirate alla poesia arcaica ed ellenistica greca, sono componimenti poetici in vari metri e di diverso contenuto: ad esempio si passa dalla meditazione filosofica alla celebrazione del regime augusteo. Rispetto alle Satire e agli Epodi, nelle Odi il tono si fa più pensieroso, meditativo e malinconico.

Il trascorrere del tempo e il carpe diem

Uno dei cardini della riflessione oraziana delle Odi è il tema del tempo: la brevità della vita, il rapido e inesorabile trascorrere del tempo, la fugacità della giovinezza, il sopraggiungere della vecchiaia, l’ineluttabilità della morte e l’impenetrabilità del futuro. “Siamo polvere e ombra”, dice Orazio (Odi 4,7). Di fronte a questa consapevolezza Orazio rivolge l’invito a godere della vita sul momento, a cogliere l’attimo (da cui il detto carpe diem).

Come scrive Orazio in una delle sue odi più celebri, 1, 11: “Mentre parliamo, il tempo, invidioso, è già volato via: cogli l’attimo, facendo il meno possibile affidamento a quel che verrà”.

Nell’ode 1,9 Orazio scrive “Non domandarti quel che sarà per accadere domani e qualunque giorno ti concederà la sorte, tienilo per guadagno; né disprezzare, giovane come sei, i dolci amori, né le danze, finché dalla tua fiorente età è lontana la bisbetica vecchiezza”.

Le Epistole

L’ultima opera di Orazio sono le Epistole, scritte in esametri e pubblicate tra il 20 e il 13 a.C.. I temi sono filosofici e letterari, sviluppando spesso tematiche su cui aveva già riflettuto nelle Odi. “In mezzo a speranze, angosce, paure e rancori, vivi con certezza che ogni giornata è l’ultima luce…” scrive Orazio (Epistole, 1,4).

Orazio aveva promesso a Mecenate che sarebbe morto insieme a lui e così fu: morì due mesi dopo di Mecenate, il 27 novembre dell’8 a.C. e fu sepolto sull’Esquilino accanto a lui. La limpida accuratezza dei versi di Orazio porta in superficie pensieri profondissimi testimoniando la sua intramontabile grandezza.

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