Antonella Caraceni: “L’arte è come l’amore, ripaga con gioie e dolori”
“L’arte da bambina era per me un territorio magico: in parte molto personale e privato, in parte un mezzo che mi permetteva la comunicazione con gli altri”. L’intervista alla gallerista e artista Antonella Caraceni…

Alle spalle di Antonella Caraceni, prima di diventare artista e gallerista, c’è una lunga carriera come costumista. Poi, nel 2009, esplode il suo amore per la pittura. Ne deriva studio, approfondimento, ricerca. Viene sin da subito inclusa nella rosa di artisti italiani vicini al popsurrealismo, esponendo prevalentemente con la Mondo Bizzarro Gallery e presso lo studio Alessandri di via Margutta. Poi, dal 2018, apre e conduce la galleria Afnakafna a Roma, un piccolo scrigno di bellezza e di stile nel cuore di Roma.
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Sette domande ad antonella Caraceni
Cosa è l’arte per te?
L’arte è una necessità primaria, la ritengo estremamente vicina e simile all’amore. Proprio come l’amore, l’arte richiede passione e impegno. Proprio come l’amore, l’arte ripaga con gioie e, a volte, dolori.
A quando risale, e cosa disegnasti, il primo approccio con l’arte di Antonella Caraceni?
La necessità di esprimermi attraverso il disegno è stata precocissima. L’arte era per me un territorio magico: in parte molto personale e privato, in parte un mezzo che mi permetteva la comunicazione con gli altri. Ero una bambina piuttosto timida, ma riuscivo ad avere un contatto con gli altri proprio attraverso quell’ammirazione che i miei disegni destavano perfino negli adulti!
Gli occhi nelle tue opere hanno spesso un ruolo centrale. Se è vero, perché? E in quale momento della formazione dell’opera questi arrivano?
Nei miei dipinti in effetti gli occhi sono spesso un punto centrale, per me hanno una potenza comunicativa straordinaria. Anche nella vita quotidiana ho la necessità di guardare negli occhi le persone che ho di fronte, con le quali parlo. Gli occhi sono per me un portale da cui trarre ciò che le parole non riescono a dire. Gli occhi permettono una comunicazione diretta con lo spirito di quel personaggio, sono un racconto nel racconto. Arrivano subito ma mi accompagnano lungo tutta la lavorazione del dipinto.
Colori vividi, personaggi che appaiono fumetti, ma le tue opere sono comunque “mature, serie e ben caratterizzate”: come fai a raccontare una storia in un quadro?
Le figure nei miei dipinti sono spesso dei “personaggi” che raccontano una storia, la loro storia. Spesso si tratta di storie universali, che parlano del tempo che passa, della paura della solitudine, dell’incomunicabilità. Gli animaletti, che spesso fanno da contorno, a volte esprimono il lato più nascosto del personaggio, a volte sono soltanto una compagnia. Mi piace rappresentare dei racconti ambigui, a volte doppi, addirittura in contraddizione e illogici.
Il mio intento è quello di evocare una storia che magari si trova già nella mente di chi guarda. Vorrei che l’osservatore sentisse tornare dentro di sé dei ricordi o delle sensazioni già vissute. La mia è una costante ricerca di qualcosa che accomuni tutti noi esseri umani. Mi piace che si possa rintracciare un pezzetto di tutti noi persino in una figura con caratteristiche peculiari e stravaganti. Le tematiche che affronto infatti riguardano tutti noi, come il timore di invecchiare, e di morire alla fine, attraversando e godendo però di tanta bellezza durante il viaggio.
Tre opere della tua produzione a cui sei più affezionata e perché.
- “Virtutem Forma Decorat”, perché nata per il progetto di “Ready Hand Made” che mi ha dato molta soddisfazione non solo come artista ma pure come curatrice e gallerista.
- “Ainikki & Kyllikki”, perchè è stata pubblicata in un bellissimo libro inglese ormai introvabile “Lowbrow Cats: An Artistic, Feline, Dream-Like Experience”
- “Lo specchio dell’Architetto”, perché mi piace il buon equilibrio che ha tra ironia e serietà, tra ripetizione e invenzione. Il gioco dello specchio giocato nuovamente, con ammirazione verso Van Eyck, ineguagliabile maestro fiammingo, e lo scherzo di ciò che riflette, in questo caso non più il lato b dei coniugi Arnolfini, ma Zippo, il mio cagnolino Jack Russel.
Come è stata gestita, per quanto riguarda l’arte e gli artisti, l’emergenza sanitaria? Quali le misure che potrebbero essere utili per ripartire davvero?
L’arte in sé non ha patito il lockdown, lo hanno sofferto le gallerie e in parte il mercato. C’è da dire però che il mercato è già da tempo in crisi. Come gallerista credo si sia rotta una relazione di fiducia tra collezionisti e gallerie. Così come quella tra appassionati e istituzioni. Aver prolungato per tanti, troppi anni l’attenzione sull’arte concettuale e astratta ha creato stanchezza e sfiducia nell’appassionato non professionista, che si è spesso trovato a doversi consolare guardando unicamente indietro verso i classici abbandonando il contemporaneo. A mio parere è un vero peccato, se non un delitto!
Non fa mai bene pensare di migliorarsi tornando indietro. Bisogna andare avanti, sì con un bagaglio carico del lavoro degli artisti del passato, concettuali ed astrattisti inclusi, ma senza continuare a fare mucchietti di specchi e sassi al centro di un salone, né a tagliare o bruciare tele, né tantomeno ad emulare Caravaggio e i classici senza prendersi la briga di renderli contemporanei. Si deve tener conto dell’avvento del web e della sua importanza al giorno d’oggi. Questo deve sconvolgere il nostro mondo espressivo, così come la fotografia scardinò la pittura accademica. Anche la critica dell’arte dovrebbe, a parer mio, smettere di comportarsi come un vecchio dinosauro mezzo morto, più preoccupato a non estinguersi che a guardarsi intorno con occhi freschi.
I prossimi progetti di Antonella Caraceni.
Attualmente mi occupo di curare le mostre nella galleria che ho aperto da circa due anni. La mia vena da curatrice è una scoperta molto recente, i progetti che condivido con gli artisti con cui collaboro indagano spesso su tematiche che considero contemporanee, come il diritto d’autore, il plagio e il lavoro in condivisione. Si tratta di temi serissimi, ma interpretati in modi sempre diversi dagli artisti, spesso in maniera ironica, finendo per far divertire e divertirci. Per una delle collettive ospitate da Afnakafna, “Ready Hand Made” abbiamo dipinto sulle copie prodotte in Cina, le abbiamo reinterpretate per affermare che l’arte è fatta da pezzi unici, nuovi, di associazioni tra elementi che mai erano stati insieme prima.
In un’altra mostra, “Le idee degli altri”, ogni artista ha regalato il proprio concept creativo ad un altro artista affinché venisse realizzato (e prendesse forma) sotto le mani di un’altra mente. Il concetto alla base di questo progetto era che le idee, una volta espresse, sono libere, ma la forma è legata al “maestro” che la realizza.
Ho in cantiere moltissimi progetti come gallerista e curatrice ma anche come artista. Mi piace alternare mostre minime a progetti più complessi. Ripartiremo con una mostra “leggera” sugli uccellini, poi ci occuperemo di iperrealismo che però tanto realista non sia, indagheremo su come la progettazione virtuale possa essere di supporto all’arte analogica.
Naturalmente avremo alcune personali, cominceremo con l’arte fresca e raffinata della francese Corine Perier, poi ospiteremo le opere di Stefano Bolcato che con le sue incursioni nella storia dell’arte trasportata nel mondo Lego sta facendo un lavoro straordinario. Come artista oltre ad intrufolarmi in molti dei progetti di Afnakafna sarò ospite nella collettiva di ottobre all’Artesse Gallery di Roma, perché l’arte unisce e rende amici, o per lo meno così ci piace che sia.
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Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.
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