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Essere senza destino: la recensione del libro di Imre Kertész

Last Updated on 29/04/2021

Visto l’approssimarsi, mercoledì 27 gennaio, della ricorrenza del Giorno della Memoria, consiglio di leggere “Essere senza destino” di Imre Kertész, qui presentato nell’edizione uscita per Feltrinelli nel 2014.

Visto l’approssimarsi, mercoledì 27 gennaio, della ricorrenza del Giorno della Memoria, consiglio di leggere “Essere senza destino” di Imre Kertész, qui presentato nell’edizione uscita per Feltrinelli nel 2014.

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La trama di Essere senza destino

“Essere senza destino” è il primo e più famoso romanzo di Imre Kertész, romanziere e saggista ungherese di origine ebraica. Il libro racconta l’esperienza di un adolescente nei campi di sterminio nazisti di Auschwitz, Zeitz e Buchenwald. Il testo, scritto in dieci anni, è basato sull’esperienza diretta dell’autore.

In Ungheria, sotto il regime comunista, Kertész e la sua opera furono messi al bando, tanto da essere riconosciuto come scrittore di fama sia in patria che all’estero solo dopo il crollo del Muro di Berlino. Successivamente da “Essere senza destino” il regista ungherese Lajos Koltai ha tratto il film “Senza destino” (2005), di cui Kertész ha curato la sceneggiatura.

“Questo è il volere di Dio”

Gyurka, il protagonista del romanzo, non ha ancora compiuto quindici anni, quando una sera deve salutare il padre costretto a partire per l’Arbeitsdiens, i campi di lavoro nazisti. Alla domanda perché agli ebrei venga riservato un simile trattamento, il ragazzo rifiuta di condividere la risposta religiosa, “questo è il volere di Dio”. Perché dovrebbe esserci un senso in tutto questo?

Poco dopo Gyurka viene arruolato al lavoro forzato in fabbrica e da lì, un giorno, senza spiegazione, viene costretto a partire per la Germania. In un’ottica di aberrante alienazione dettata dallo spirito di sopravvivenza, riesce ad adattarsi agli orrori del campo di concentramento. La voglia di crescere, di vedere e imparare, l’impulso vitale di questo ragazzo sono così marcati e prorompenti, che la sua “ratio” trova sempre una buona ragione perché le cose avvengano proprio in quel modo e non in un altro.

Tuttavia con l’indebolimento e la trascuratezza arriva la malattia, sotto forma di un flemmone al ginocchio che lo porta all’ospedale del campo. Il ragazzo, già rassegnato al proprio destino, si trova con sua grande meraviglia a subire un trattamento umano da parte di alcuni infermieri, che lo aiutano a rimettersi in salute, proteggendolo.

Così, quando la liberazione arriva, Gyurka può fare ritorno a casa, dove però troverà ad attenderlo la notizia della morte del padre, ed un mondo poco propenso a riaccoglierlo, ed a riflettere su quanto è successo. Ciò nonostante egli decide di provare a condurre una vita ordinaria ed anelare alla felicità, pur con la consapevolezza che niente sarà più come prima.

“Non esiste assurdità che non possa essere vissuta con naturalezza e sul mio cammino, lo so fin d’ora, la felicità mi aspetta come una trappola inevitabile. Perché persino là, accanto ai camini, nell’intervallo tra i tormenti c’era qualcosa che assomigliava alla felicità. Tutti mi chiedono sempre dei mali, degli ‘orrori’: sebbene per me, forse, proprio questa sia l’esperienza più memorabile. Sì, è di questo, della felicità dei campi di concentramento che dovrei parlare loro, la prossima volta che me lo chiederanno”.

Il nostro commento

Ho letto questo libro qualche anno fa, a distanza di tempo dall’aver visto il film che ne hanno tratto. Dopo la visione di “Senza destino” ero rimasto colpito da una contraddizione, che ho voluto approfondire tramite la lettura del romanzo originale: si può provare felicità in un campo di concentramento? Più che trovare risposte, ho cercato di intercettare atmosfere. Interpretare un vissuto altro da me. Far emergere frammenti che potessero tornare utili nella vita comune. Non so se ci sono riuscito.

Con umiltà, credo di avere imparato che la scoperta del proprio spirito di sopravvivenza, diviene nostalgia quando si ricordano i momenti in cui si è stati messi alla prova. Per una normalità perduta che non tornerà mai, la comunanza del disagio diviene fratellanza, nuovo ordine delle cose, aria da respirare. Il ricordo di questi attimi commuove: l’aver toccato il proprio limite estremo, esserne sopravvissuto. Perché quella solitudine strappata a morsi dal bisogno, è un distintivo visibile soltanto a chi l’ha conosciuta. Comunque una leva con cui sollevare il proprio mondo.

Perdonarsi? Di cosa?

È così che durante e dopo la prigionia Gyurka sceglie di vivere, di non lasciarsi morire. Ed è questa la radice della sua ricerca di felicità, anche in un posto infernale come un lager. Potrebbe rimuginare sui rimpianti del passato. Sceglie invece di farsi una ragione di ciò che gli è accaduto, quasi riconosca intimamente che il pericolo più grande sia in realtà il non riuscire a perdonarsi.

Perdonarsi? Di cosa? Il ragazzo non è responsabile della situazione in cui si è trovato, piuttosto ha trovato la forza per non subirla. Perché Gyurka accetta di vivere il presente e va avanti. Reagisce. Così facendo salva se stesso, perché decide di ricordare e non trattenere. Non è vero che Gyurka sia senza destino, in verità il destino lui è riuscito a lasciarlo andare con tutti i suoi attaccamenti, le sue paure.

Chi è Imre Kertész

Imre Kertész (Budapest, 1929-2016). Romanziere e saggista ungherese. Di origini ebraiche, nel 1944 subì la deportazione ad Auschwitz, Zeitz e Buchenwald, da cui fu liberato dopo un anno. Per la manifesta avversione al regime comunista, fu licenziato dal quotidiano per il quale lavorava; per sopravvivere si dedicò alla traduzione (Freud, Nietzsche, Canetti, Wittgenstein), iniziando contemporaneamente la stesura del romanzo che lo impegnerà per circa dieci anni: Essere senza destino, in cui narra l’esperienza di un quindicenne deportato nei campi di sterminio.

L’opera, rifiutata per anni dagli editori e pubblicata solo nel 1975, è rimasta ignorata fino alla caduta del Muro. Per Kertész l’Olocausto non rappresenta uno “scandalo”, una macchia sulla coscienza collettiva dell’Occidente, quanto l’esito necessario di un impianto raziocinante votato al male. Questa concezione permea anche le successive prove narrative (Fiasco, 1988; Kaddish per il bambino non nato, 1990; Il vessillo britannico, 1991; Liquidazione, 2003; Dossier K., 2006), e la fitta produzione saggistica (in traduzione italiana parzialmente confluita in Il secolo infelice, 2007). Nel 2002 è stato insignito del premio Nobel per la letteratura “per una scrittura che sostiene la fragile esperienza dell’individuo contro la barbarica arbitrarietà della storia”. Ha dichiarato: “Ogni volta che penso a un nuovo romanzo penso a Auschwitz”.

Scheda del libro

Titolo: Essere senza destino
Autore: Imre Kertész
Editore: Feltrinelli
Anno edizione: 2014
Pagine: 223 p.
ISBN: 9788807884900
Prezzo: € 9,50

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