E’ morto Philippe Jaccottet, il poeta della natura: le sue poesie più celebri
Last Updated on 26/02/2021
E’ morto Philippe Jaccottet, poeta, traduttore e critico letterario, vincitore del Premio Goncourt per la Poesia nel 2003. Lo ha annunciato il figlio all’Agence France-Presse…

E’ morto Philippe Jaccottet, poeta, traduttore e critico letterario, vincitore del Premio Goncourt per la Poesia nel 2003. Lo ha annunciato il figlio all’Afp (Agence France-Presse). La casa editrice italiana Marcos Y Marcos, che ha molti suoi titoli in catalogo, il 17 marzo 2021 pubblicherà “Passeggiata sotto gli alberi”.
Lo stile del poeta
Philippe Jaccottet è oggi considerato uno dei maggiori poeti europei. Più volte candidato al Premio Nobel, è autore di un’opera dal lirismo asciutto. Una produzione che interroga la natura, la morte, l’etica. Oltre all’opera poetica, ha pubblicato numerosi volumi in prosa, diari, riflessioni sulla poesia e sulla traduzione ed è autore di acuti articoli di critica sulla poesia francese. Si ricorda in particolare lo studio su Jean-Pierre Lemaire in “Jean-Pierre Lemaire: Les Marges du jour”, NRF, dicembre 1981.
La “lettera”, celebre poesia di Jaccottet
Michelle, noi fummo uccelli che si sfiorano,
frecce verso la luce, che s’inseguono
gridando sempre piú in alto, fino all’estasi,
sorella dell’effimero.
− Non servono le immagini fra noi: dissi parole
in sogno, che rendono piú breve la distanza
fra i nostri corpi, figure infernali; tu sapevi
formarne degli anelli abbastanza stretti
perché esultassero scordando i loro limiti
e la morte che, curiosa, dietro aspetta;
io, ero troppo spesso un fanciullo distratto,
viaggiavo e poi invecchiavo, abbandonandoti,
e quando risalimmo su verso l’alba cruda,
era uno spettro che tu guidavi di strada in strada,
là dove il canto del gallo mai piú l’avrebbe raggiunto.
Eppure quest’ombra ti amava… E non sai mai
laggiú cosa ti attende, quale abbraccio…
− Abitante di questa notte, penserai
senza troppo odio a chi dimora chissà dove
e ti sfiorò come un uccello sulle palpebre,
poi risalí, senza cessare di scorgere in basso
il tuo sorriso scintillare come un fiume…
Ninfa
In questo giardino la voce delle acque non inaridisce,
sarà quella di una lavandaia o di quelle ninfe laggiù,
la mia voce non riesce a mescolarsi a quelle
che mi sfiorano, mi fuggono e passano infedeli,
non mi rimane che queste rose colte
nell’erba ove ogni voce tace con il tempo.
Le ninfe, i ruscelli, immagini di cui
compiacersi!
Ma chi cerca altra cosa qui d’una voce chiara,
una fanciulla nascosta? Non mi sono inventato nulla:
ecco il cane che dorme, gli uccelli raccolti,
gli operai curvi davanti ai salici fragili,
ardenti come fuochi; la serva li chiama
a fine giornata… La loro e la mia giovinezza
si consumano come una canna, con la stessa celerità,
per tutti noi marzo s’avvicina…
E non sognavo
quando ho sentito, dopo tanto tempo, questa voce
ritornarmi dal fondo di questo giardino, l’unica,
la più dolce in questo concerto…
“O Domenica! Mai avrei creduto di ritrovarti qui, tra queste persone… _ Taci. Non sono più colui
che fui…”
L’ho vista salutare con grazia
i nostri ospiti, poi andarsene via come l’acque svanendo,
lasciando il parco, mentre il sole si perde,
e sono già quasi le cinque, in inverno.
Preghiera tra la notte e il giorno
All’ora incerta in cui la muta dei fantasmi
fa ressa alle finestre, e in gran subbuglio
per un’esitazione tra ombra e giorno
minaccia bisbigliando la chiarezza,
un uomo prega: gli è distesa accanto
la splendida guerriera inerme e nuda;
poco distante giace il loro erede,
tenendo stretto come stelo il tempo.
«Una preghiera dentro la paura, ardua a esaudire,
specie senza soccorso dall’esterno; una preghiera
detta dentro il crollo delle città,
la fine della guerra, i morti in folla:
perché la dolce aurora, la tenace,
la luce quando giunge sui crinali, se allontana
la lieve luna, cosí anche la mia favola cancelli,
e veli del suo fuoco anche il mio nome».
Da « Année » (Anno ), 2006
Sotto la forza del sole,
nel bel mezzo del giorno,
insieme, non più d’un frutto maturo,
insieme frutto e bocca, labbra, lingua,
rovinarsi a volte e salire su un carro di fuoco.
Come maturò, la tua testa, e rotola, e falliscono, e
si riversano dal carro sulla terra gialla
tanto da ricevere una luce celeste!
Più serriamo questo nodo, più collegamenti
s’interrompono dentro di noi, attorno a noi.
Attraverso le fiamme, si sente il peso
della montagna di notte.
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Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.