Star per il sociale – I migliori interventi politici nella storia del Cinema
Last Updated on 17/02/2022
Da Marlon Brando a Luca Marinelli, dagli Oscar ai Cèsar; ricordiamo i più famosi interventi politici e le proteste portati sui palchi delle premiazioni cinematografiche.

Dopo quattro anni di Trumpismo e di MeToo, quando c’è una premiazione cinematografica, soprattutto negli USA, sappiamo bene cosa aspettarci. Il discorso di ringraziamento che verte sul sociale o sul politico è ormai prassi. Ma non è sempre stato così. Solo fino a pochi anni fa interventi “impegnati” erano mal visti e creavano immediato scalpore. Basti pensare che Sidney Poitier, primo attore di colore a vincere l’Oscar; sul palco non accennò minimamente al suo primato o a cosa questo significasse per la comunità afroamericana. Perfino Jane Fonda, la star più attiva e appassionata di Hollywood, quando vinse nel 1972, lasciò il palco con un laconico ma innocuo “ci sarebbero tante cose da dire, ma non le dirò stasera”. Vediamo invece quali star hanno deciso di usare il podio per dare il loro messaggio.

Oscar e Cèsar: i “political speech” più forti
Era il 1978, ma potrebbe essere oggi. Vanessa Redgrave vince l’Oscar come migliore attrice per Giulia e termina il suo discorso con una dura condanna alla politica di repressione israeliana nei confronti dei palestinesi, definendo i “criminali sionisti” un “insulto alla statura di tutti gli ebrei del mondo”. Lascia il palco tra le proteste del pubblico. Stesso esito ha il discorso di Michael Moore, premiato nel 2003 per Bowling for Columbine, che dal podio attacca George W. Bush e la guerra in Iraq: “viviamo in tempi fittizi, in momenti in cui c’è un presidente fittizio che viene eletto, e che ci manda in guerra per ragioni fittizie”. Lascia invece il palco sotto scroscianti applausi Patricia Arquette, premio Oscar nel 2015 per Boyhood, che fa un appassionato discorso sui diritti delle donne. Forte ma ben accolta è stata la protesta dell’attrice francese Corinne Masiero, che alla premiazione dei César di quest’anno si è denudata sul palco per protestare le chiusure di cinema e teatri.
“Mi si nota di più se non vengo?”
Nel 1973 Marlon Brando vince come migliore attore per Il padrino. Sul palco però non sale il corpulento interprete di Don Vito Corleone, ma la giovane Sacheen Littlefeather, attrice e attivista dei diritti dei nativi americani. Vestita in abiti tradizionali Apache, la giovane legge una dichiarazione in cui l’attore rifiuta il premio a causa dell’ingiusto trattamento dei nativi americani da parte dell’industria cinematografica. Il rifiuto di un premio così prestigioso è cosa rara, tanto che solo un altro attore lo fece; George C. Scott vinse nel 1970 per Patton, generale d’acciaio e rifiutò definendo la cerimonia “due ore di carne in vetrina”. Bei tempi quando la notte degli Oscar durava così poco.
Nel 2015 Jada Pinkett e Will Smith si rifiutarono di partecipare alla cerimonia, accusando l’Accademy di discriminazione razziale. Ne nacque una protesta e un hashtag, #OscarsSoWhite, che in poco tempo fece il giro del mondo, spingendo l’Accademy ad apportare sostanziali cambiamenti per rendere la premiazione più inclusiva.

Il discorso politico in Italia
Qui da noi l’ultima bagarre intorno a un premio cinematografico è quella che vede Gabriele Muccino, ferito nell’orgoglio per non aver ricevuto la nomination come miglior film per il suo Gli anni più belli, abbandonare la giuria dei David di Donatello e scrivere un paio di tweet sprezzanti sui film candidati. Poco di politico, ma è comunque un gesto di protesta (come lo è lo sbattere forte i piedi a terra del bambino che non vuole andare a letto).
Discorsi politici a tutti gli effetti sono invece quelli fatti da due nostri ottimi attori. Il primo è Elio Germano, che premiato a Cannes nel 2010 per La nostra vita, conclude il suo ringraziamento dedicando il premio “Agli italiani, che fanno di tutto per rendere l’Italia un paese migliore, nonostante la sua classe dirigente”. Stranamente, nel servizio del TG1 sulla premiazione, il discorso finisce per essere tagliato. Il secondo è Luca Marinelli, che al Venezia nel 2019 dedica la sua vittoria con Martin Eden a chi lavora per salvare i migranti in mare. Questo scatenò le ire del temutissimo Codacons, che, dimenticati per un attimo i Ferragnez, accusò la giuria di aver fatto una scelta politica preferendo l’italiano a Joaquin Phoenix e promise di porgere le sue scuse all’attore americano per quest’ingiustizia. Siamo certi che la lettera del Codacons sia incorniciata in bella vista sulla mensola in salotto, accanto alla statuetta dell’Oscar, a casa del bel Joaquin.
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Mio padre è Andrej Tarkovskij, mia madre è Sarah Connor. Onnivora di cinema, ho imparato a memoria IMDB. Vorrei vivere dentro “L’Eglise d’Auvers-sur-Oise” di Van Gogh, essere fotografata da Diane Arbus e scolpita da Canova. Vorrei che Hemingway scrivesse di me, che Hendrix mi dedicasse una canzone e che Renzo Piano mi intitolasse un grattacielo. Per quest’ultimo sono ancora in tempo.