“Normality”, l’intervista a Gabriele Lazzaro
Last Updated on 27/01/2019
L’EVENTO – Venerdì 25 settembre si presenterà presso le sale de Il Margutta il corto “Normality”, produzione indipendente dell’attore Gabriele Lazzaro, in cui si racconta l’amore folle e malato di Norman per sua madre. Timido e problematico lui, instabile ed enigmatica lei, un rapporto paradossale, in cui unica chiave di sopravvivenza è preservare la dipendenza emotiva. Protagonisti Mariella Valentini e Gabriele Lazzaro, con l’amichevole partecipazione di Carola Stagnaro e la straordinaria presenza nella colonna sonora di Grazia di Michele.
Il progetto di Gabriele Lazzaro
La presentazione del corto è il fuoco artistico di un progetto artistico a tutto tondo, che durerà fino a fine novembre, e che comprende anche una mostra, quella con gli artisti Valeria Catania e Guido Pecci. L’esposizione è ideata da Tina Vannini, curata da Giorgia Calò, organizzata e coordinata da Anita Valentina Fiorino. Durante la mostra, che sarà inaugurata il 17 settembre e proseguirà sino a fine novembre, una serata speciale sarà dedicata anche agli appassionati di teatro, con uno spettacolo che ricalca i temi della follia e del disordine.
Ne abbiamo parlato con lui, con il giovanissimo attore, ovviamente romano ma temporaneamente a Milano, che ha raccontato ambizioni e paure, sogni e speranze, per lui e per il suo progetto in cui ha investito, da solo, tempo, denaro ed energie. A Gabriele e al suo grande sogno auguro un personalissimo in bocca al lupo. E dita incrociate per tutti.
Qui il trailer del film: https://www.youtube.com/watch?v=irZDtVhLYbg
Da dove nasce l’idea di Normality?
Intanto ti dico che è un cortometraggio indipendente, che ho prodotto contando al cento per cento sulle mie forze. È una storia scritta a 4 mani con la psicoterapeuta Maria Grazia Lo Russo, con cui racconto in venti minuti l’amore malato di Norman per sua madre. Lui è un giovane uomo timido e problematico, afflitto da un’eredità patologica che deve agli abusi subiti dal nonno; lei una donna instabile, che pur di negare a se stessa la psicosi del figlio è disposta veramente a tutto. La cosa paradossale è che entrambi, per sopravvivere, hanno bisogno della loro dipendenza emotiva. Nulla che riguardi me e mia madre (ride), anche se queste dinamiche sono molto più comuni di quanto si possa pensare.
Dove è ambientato il corto e dove nasce l’idea di questo cast?
È ambientato ai giorni nostri in una villa isolata nei boschi. È stata una fortuna trovare quella location (Bosco Solbiati, n.d.r), pensa che mi è capitata davanti passeggiando dietro casa dei miei genitori, a Gorla Minore (provincia di Varese). I veri proprietari sono stati gentilissimi, mettendomela a disposizione ad uso completamente gratuito. Senza quella villa il corto non avrebbe lo stesso sapore claustrofobico. Tornando al mio personaggio, ti posso dire che si chiama Norman, come il protagonista di Psycho (film cult di Alfred Hitchcock, n.d.r.). Ho voluto omaggiare liberamente la tradizione psicopatologica cinematografica, amo follemente quell’interpretazione di Anthony Perkins. Prima di iniziare le riprese l’avrò rivista decine di volte, per cercare di fissare al meglio la sua mimica e lasciarmi ispirare. Accanto a me, nel ruolo di mia madre, ho voluto Mariella Valentini, straordinaria e bellissima; non finirò mai di dire che meriterebbe molto più di quello che oggi le viene offerto, ma l’Italia è un Paese strano. Accanto a noi poi ci sono due amici, due attori bravissimi a cui devo un grande grazie: Carola Stagnaro e Fabio Massimo Bonini. Lei interpreta la psicologa bella ed enigmatica di Norman, lui quel “bastardo” del nonno. Entrambi hanno contribuito molto al risultato finale, improvvisando sfumature non previste che ci hanno permesso di giocare con sottotesti più intensi.
Nei credits si legge anche la partecipazione di Grazia Di Michele: in che modo ha contribuito?
Grazia canterà straordinariamente sulla scena finale del corto uno dei suoi brani più intensi, “Il tempio” riarrangiato per l’occasione da un musicista di vero talento, Luciano Vaccariello. Quando le ho proposto la sceneggiatura ne è rimasta subito colpita, e incredibilmente entrambi ci siamo resi conto di quanto questa canzone scritta più di vent’anni fa fosse perfetta per Norman e sua madre. Ho passato tutta la mia adolescenza sdraiato sul letto ad ascoltare i suoi brani con le cuffiette, sono diventato uomo con lei, poesia allo stato puro. Oggi averla nella colonna sonora di un mio lavoro mi riporta indietro nel tempo, con orgoglio e tantissima tenerezza.
Scene tagliate: c’è qualcosa che è stato fatto fuori?
No, del girato abbiamo utilizzato tutto. Ma durante le riprese avrò cambiato la sceneggiatura almeno una decina di volte, facendo letteralmente incazzare il regista. Nicolò Tagliabue è giovanissimo, si è formato in America e devo dire che senza anche gli scontri avuti con lui sul set non avrei dato a Norman quello che ho dato. Anche se da dannata vergine quale sono rivedendomi penso sempre di poter fare meglio. Tornando alle scene, ne erano previste una di nudo e una di sesso, ma poi si è deciso di non girarle. Non ti dirò mai con chi l’avrei dovuto fare, anche perché dovesse partire una serie basata su NORMALITY potrebbero venire ripescate, ovviamente dopo centinaia di miei addominali (ride n.d.r.).
Cosa spinge un giovane come te nel delicato campo della produzione e nel precarissimo settore del cinema?
La voglia e la necessità di oppormi alle illogiche commerciali che in questo Paese condannano noi lavoratori dello spettacolo all’immobilità professionale. Il nostro non è un mestiere che puoi fare o non fare, alla stregua di qualsiasi altra professione. È un’esigenza, un bisogno, un modo altro di esistere e forse essere davvero se stessi. E sono orgoglioso che tanti professionisti, giovani e adulti, abbiamo aderito al mio progetto in forma assolutamente gratuita, mossi unicamente da una passione pazzesca e dal solo obiettivo di guadagnarsi un diritto fondamentale per la propria dignità. Perché di questo si tratta: difendere la propria dignità. Credo sia soprattutto questo il punto di forza di NORMALITY: aver unito professionisti come mio padre Angelo Germinario (storico capo luci Mediaset, n.d.r) e Tina Monello (costumista, n.d.r), a ragazzi giovani come Nicolò e la sua crew. Chiunque abbia partecipato l’ha fatto rinunciando al compenso, con la speranza che qualche produzione decida di sostenerci nella realizzazione di una serie o di un lungometraggio. Il motto è: basta lamentarsi, rimbocchiamoci le maniche e creiamoci lavoro. Non finirò mai di ringraziare Paolo Braghiroli e la sua Rispenia Lighting per avermi supportato, Luca Zanin di Alphaprint e Federico Morgantini di Cattura. Credimi, ho dato davvero l’anima per questo corto, inventandomi produttore indipendente. Io non sono ricco, vivo di ciò che mi sudo con tutte le mie attività ma ho voluto puntare il tutto per tutto sull’entusiasmo, investendo nella possibilità di incoraggiare i sogni di chi come me aldilà di tutto ha ancora la voglia di averne.
Che fine ha fatto il ruolo primario di Roma nel mondo del cinema?
Bella domanda… Se rispondo sinceramente non mi fanno più lavorare (ride n.d.r.). A parte gli scherzi, i miei primi riferimenti sono stati De Sica, Rossellini, creatori di un cinema che raccontava una Roma che non esiste più. Eraclito diceva “non ci si bagna mai nello stesso fiume”, e da una parte è giusto così. Ma il passare del tempo dovrebbe portare ad un’evoluzione e non ad un’involuzione, cosa che purtroppo credo sia successa al nostro settore. Ti rendi conto che abbiamo vinto un Oscar per un film (La Grande Bellezza, n.d.r.) che ha raccontato, straordinariamente e con una fotografia pazzesca, una Roma fatta di festini e bagordi? E questo è davvero il volto reale del nostro ambiente oggi. Basti pensare a Facebook ed Instagram durante il Festival del Cinema di Venezia, pullulano di selfie dalla Laguna, sono tutti lì. Poi però sul grande schermo continui a vedere i soliti 4 nomi spalmati su tutte le produzioni. Questo dovrebbe far riflettere. Tre anni fa ho lavorato con Pupi Avati, che mi ha scelto per la sua fiction “Un matrimonio”. La prima volta che ho messo piede in ufficio da Pupi mi sono messo a piangere. Quei quadri, quei tappeti, quella moquette ti fanno respirare ancora quella magia di cui ti parlavo prima.
Prossimi progetti?
Sto lavorando all’idea di un singolo di beneficenza con Ivana Spagna, una persona straordinaria con cui cantando raccoglierò fondi per la ricerca a favore dei bambini farfalla. Ivana è una donna di una sensibilità unica, hai presente quando si dice “gli occhi sono lo specchio dell’anima”?. A breve poi sarò sul set con l’amico regista Fabrizio Cattani, di cui mi sono letteralmente innamorato dopo aver visto il film “Maternity Blues”. Ma diciamo che il progetto con la P maiuscola è quello di riuscire a vivere del mio lavoro, guadagnando il giusto. E non escludo di produrre un nuovo lavoro. Sarà che una delle persone che più stimo e ammiro è Andrea Occhipinti… (produttore e fondatore della Lucky Red, n.d.r.).
Il tuo grazie va a…
Alla mia famiglia, per avermi insegnato l’importanza dell’onestà intellettuale. A Luna Berlusconi per essere da tre anni un grande esempio di professionalità e determinazione. E alla “mia” Sophia Loren, per avermi soffiato addosso l’amore viscerale per questo lavoro e insegnato a “darmi” come attore.
Chi è Gabriele Lazzaro
Gabriele Lazzaro debutta a 19 anni con la soap opera di Canale 5 Vivere, in cui per due anni è Paolo il barman della locanda Bonelli. Fra le diverse fiction, “La mia casa è piena di specchi” con Sophia Loren e “Un matrimonio” di Pupi Avati, in cui interpreta il ruolo drammatico del soldato reduce di guerra Romeo. Nel 2012 ha prestato il volto al Guerriero dell’Amore nello spot tormentone ENEL. Dal 2013 scrive per “Il Giornale” e “ilgiornaleOFF”, curando la rubrica “Anche io ero OFF” in cui intervista i grandi personaggi dello spettacolo italiano.
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Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.
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