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La “Realtà in equilibrio” di Giuseppe Uncini alla GNAM di Roma

Last Updated on 12/06/2019

Apre lunedì 17 giugno, sino al 29 settembre, la nuova mostra della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea su Giuseppe Uncini

Apre lunedì 17 giugno, sino al 29 settembre, la nuova mostra della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma. Dopo le personali di Carlo Lorenzetti, Bruno Conte e Giulia Napoleone, questa volta l’attenzione si sposta su Giuseppe Uncini, concludendo così il ciclo di mostre Realtà in equilibrio, curato da Giuseppe Appella.

Le opere in mostra

Attraverso 58 sculture e 30 disegni datati 1957-2008, Appella ripercorre in una antologica le varie tappe del cammino dell’artista scandito da Terre, Cementarmati, Ferrocementi, Strutture spazio, Strutturespazio-ambienti, Mattoni, Terrecementi, Ombre, Interspazi, Dimore delle cose, Dimore e muri d’ombra, Spazi di ferro, Spazicementi e Tralicci, Muri di cemento, Architetture, Telai-Artifici.

“Temi e ricerche perentoriamente messi di fronte, in un vis-à-vis tutt’altro che azzardato, anche nei ripensamenti del già fatto, per perseguire fino alle estreme conseguenze la fisicità dell’opera, per estrarre dalla materia, con l’abituale procedimento mentale, come l’ape il nettare dai fiori, una inedita carica fantastica e quella idea progettuale a lungo accarezzata nella miriade di gesti e attitudini di mestieri praticati durante la guerra come una personale università del pensiero e della mano”.

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Materiali e memorie

Basta leggere i titoli: da una iniziale Terra che corrisponde a un normale paesaggio memore di De Staël subito riversato in Rothko, e da un letterario Il passo del gatto (1958), emblema dell’illusoria immagine della pittura che vuole sfuggire all’oggetto-quadro e scava nelle memorie del sottosuolo, rapidissimo è il passaggio da materie cromatiche primarie, sottilmente evocative, a un solo materiale, il cemento, che muove gesti e segni e li dota con il ferro alzando armature (Primo Cementarmato, 1958-1959). Regolando masse pesantissime che, tra un alfabeto e un traliccio, una dimora e un epistylium, ordiscono una città solo apparentemente impossibile (Architetture n. 206, 2006).

Uncini altro non fa che analizzare gli strumenti a sua disposizione. Appuntirli, in tutti i sensi, nel patrimonio culturale e nella quotidianità del suo operare. Recandosi nello studio come un direttore d’orchestra in teatro per le prove. Si notano l’artigianalità della costruzione, una dinamica di attese consumate in spostamenti minimi capaci di tessere, nell’inversione dell’assetto del reale. Dove non hanno fatto breccia né l’Informale né la Pop Art, tantomeno ismi, correnti e nomi degli ultimi decenni.

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