Funk e morte a L.A. di Nelson George – La recensione
Last Updated on 19/12/2019
Il romanzo di Nelson George è un noir ambientato a Los Angeles con forti riferimenti musicali e un ritmo serratissimo

Nelson George, Funk e morte a L.A., traduzione di G. Testani, Jimenez editore, 2019, 282 pp., Euro 16.50.
Un mistery con D. Hunter
Nelson George è un giornalista e documentarista statunitense, tra i massimi esperti e conoscitori della black music di ieri e di oggi. Uno dei suoi libri fondamentali, Motown – Storia e Leggenda, è stato pubblicato in Italia da Arcana nel 2010. Esce ora per i tipi di Jimenez il suo romanzo Funk e morte a L.A., che ha per protagonista il bodyguard e aspirante manager musicale newyorkese D. Hunter, in trasferta sulla West Coast. Il romanzo è un noir in cui l’autore fonde sapientemente le caratteristiche proprie del genere con la sua straordinaria competenza musicale. Il risultato è un libro divertentissimo e malinconico ad un tempo che ci porta dentro un ambiente intricato e caotico.
Leggi gli altri articoli “letterari” di Uozzart.com
La trama
Il delitto che il protagonista si trova a dover risolvere riguarda la sua stessa famiglia. Si tratta infatti dell’assassinio del nonno, il vecchio Big Danny, piccolo commerciante, pilastro della comunità afroamericana (ma benvoluto anche tra latinos e asiatici). Le indagini, nella migliore tradizione del genere, lo portano a scavare nel passato della propria famiglia, ma anche nelle dinamiche della convivenza (e degli scontri, anche violenti) tra le diverse etnie; ma soprattutto lo mettono sulle tracce del misterioso Dr. Funk, ex leggenda della musica funk e del soul, ma ora clochard irrintracciabile, che tutti sono interessati a ritrovare e che forse è il tassello che mette insieme tutte le tessere del puzzle.

Un noir tra cinema e musica
Vengono in mente molti riferimenti cinematografici leggendo il libro: un po’ Shaft e un po’ Foxy Brown, il romanzo ripesca in modo neanche tanto velato la decadenza di un capolavoro come Chinatown di Roman Polanski. Anche in quel film le vicende private dei personaggi s’intrecciavano alla storia della città, alla sua complessità alla sua “stratificazione” culturale, sociale ed etnica. E allora come adesso c’erano gli sfruttatori e c’erano gli sfruttati, c’erano i ghetti e la bella vita, l’autenticità della vita di quartiere e gli interessi dei pochi, e soprattutto la mai sopita questione razziale. Si aggiungano qui, e non è poco, le contraddizioni della gentrificazione dilagante e il ruolo di questa nella trasformazione delle metropoli.
La complessità babelica di Los Angeles
Il romanzo è un noir malinconico e, a suo modo, politico, in cui le storie dei protagonisti, che sono tanti e rappresentativi della babele culturale della Città degli Angeli, si intersecano nel magma d’una metropoli complessa e policentrica (anzi: senza centro). Ma al di là della storia, quello che è più interessante è proprio la ricostruzione di questo contesto, della città e dei suoi diversi strati: la comunità afroamericana, il mondo del gangsta-rap (compresa la sua declinazione messicana legata ai narcocorridos), la comunità coreana, lo show-biz cinematografico e musicale. Quella descritta è una realtà tentacolare, presentata a ritmo di musica: “questa città, vasta e lunga, era mille mondi dove la gente ascoltava tanto gli Eagles quanto gli NWA o i Beach Boys o i Black Flag o gli Shalamar o Charles Mingus o gli X…”.
Leggi anche “Persone normali di Sally Rooney, la recensione”
Tutta la black music immaginabile
Sono proprio gli straordinari riferimenti musicali a condire il libro e a trasformare un noir classico in qualcosa di diverso. Dentro il romanzo c’è sostanzialmente tutta la black music, da Robert Johnson a Kendrick Lamar, da James Brown a Kamasi Washington. Blues, Soul, Jazz, Rhythm & Blues, Funk, Rap e Hip Hop in tutte le loro sfumature sia antiche che moderne. Ci sono i grandissimi e i mediocri, ma soprattutto ci sono le gemme dimenticate, le chicche da intenditori. Cercate su Google Jackie Wilson, tanto per citare una di queste nuggets della black music che si trovano nel libro.
Una costante colonna sonora
È come se il libro, al pari di un film, avesse una sua colonna sonora. Non si tratta però di semplice accompagnamento musicale, bensì di un pilastro portante della narrazione, di un elemento strutturale forte per la trama del romanzo e per lo stile in cui è scritto. La lettura di questo libro dà l’occasione, per i conoscitori, per un gustoso “ripasso” di alcuni tra i momenti più alti della musica americana. Per i neofiti può essere uno straordinario strumento di scoperta: con un po’ di pazienza e Spotify a portata di mano (o una bella collezione di dischi, per i più fortunati) ci si può fare un’ottima cultura musicale “black” mentre si cerca di capire, scorrazzando tra le strade di L.A., chi è l’assassino di Big Danny o che fine ha fatto Dr. Funk.
Appassionati di arte, teatro, cinema, architettura, libri, spettacolo e cultura? Segui le nostre pagine Facebook, Twitter e Google News
“Come saremmo colti se conoscessimo bene solo cinque o sei libri”, scriveva Flaubert.
Luca Verrelli cerca di essere un buon lettore.
2 Comments »