Cristiano De Matteis: “L’arte è come l’aria, fa parte della mia vita da sempre”
Non semplicemente tele. E neanche foto. Le opere dell’artista romano Cristiano De Matteis nascono da un perfetto connubio delle due tecniche, pittorica e fotografica. Un incontro di stili e tecniche che ha dato alla vita a un genere tutto suo, a metà tra l’onirico ed il reale...

Non semplicemente tele. E neanche foto. Le opere dell’artista romano Cristiano De Matteis nascono da un perfetto connubio delle due tecniche, pittorica e fotografica. Un incontro nato 25 anni fa, quando la sua ricerca stilistica subì una virata decisa verso le immagini fotografiche, mettendo da parte quelle disegnate, fino ad allora prescelte.
Cominciò a fotocopiare immagini muovendole durante il momento della riproduzione, causando distorsioni sui soggetti e sugli ambienti. Poi vi interveniva pittoricamente con tempere acriliche. Alla stampa su carta si aggiungevano quindi pennellate speciali, di profondità e di matericità. Esaltandone così luci e movimenti, per poi amplificarli ulteriormente con il quasi esclusivo utilizzo del Bianco di Titanio.
Un incontro di stili e tecniche, quello di Cristiano De Matteis, che ha dato alla vita a un genere tutto suo, a metà tra l’onirico ed il reale.
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Cosa è l’arte per te?
L’arte fa parte della mia vita da sempre. Quindi per me è come se mi chiedessi cosa è l’aria. Disegno sin da piccolo, ho frequentato il liceo artistico e poi un corso quadriennale d’Illustrazione. In seguito, aprendo un atelier di pittura e decorazione, ho fatto dell’arte il mio solo impegno quotidiano.
A quando risale, e cosa scegliesti come soggetto, il tuo primo scatto?
La prima ed unica reflex fu una Nikon F40. Non credo di aver mai scattato professionalmente, se s’intende uno scatto realizzato con strumenti professionali, io realizzo le mie opere partendo da scatti realizzati con il mio smartphone. Oramai lo smartphone ha sostituito quella che era la compatta nell’era della pellicola. I primi scatti ragionati davvero, sono stati sempre in strada e tra la gente.
Da cosa nasce il tuo bisogno di coniugare la fotografia, sinonimo di reale, con la pittura, simbolo di astrazione?
Ho cominciato a coniugare le due tecniche proprio negli anni dell’illustrazione, dipingendo su fotocopie per ipotesi di progetti editoriali. Ho sempre amato la materia pittorica e la fotografia e mi è venuto naturale metterle in dialogo.
Quando hai scelto di perseguire questo lavoro?
Non ho scelto, era l’unica strada che volevo intraprendere e che spero di riuscire a percorrere fino a quando avrò forza.
Tre opere (tue) a cui sei più affezionato e perché.
Le mie opere a cui tengo di più per differenti motivi sono:
Legs in abandoned room: Riuscire a rappresentare il presente ed il passato fa parte della mia ricerca e qui mi sento di esserci riuscito.
No Way Out, perchè rappresenta la parte più intima di me e poi anche per come è nata. Passeggiando per un piccolo borgo umbro ho convinto uno dei miei amici a posare in questo androne di un edificio abitato, ma che era un’ex ospedale.
Beyond the gate: un’opera che mai come negli ultimi mesi rappresenta la voglia di libertà mentale e fisica.
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Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.