Cinque grandi film di David Fincher, tra ombre e inganni
Last Updated on 26/03/2021
Un viaggio tra i film di David Fincher che hanno saputo svelare con i trucchi dell’inganno i più profondi ed oscuri misteri dell’animo umano: Mank, Gone girl, Fight club, Seven, Zodiac…

Un viaggio tra le ombre delle luci cinematografiche che hanno saputo svelare con i trucchi dell’inganno i più profondi ed oscuri misteri dell’animo umano: Mank, Gone girl, Fight club, Seven e Zodiac.
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Mank (2020), con Gary Oldman, Tom Burke, Lily Collins

Ultimo film di Fincher, disponibile da venerdì 4 dicembre su Netflix, svela le complicate dinamiche autoriali, legate alla realizzazione della sceneggiatura, che si celano dietro il successo di uno dei capolavori della storia del cinema: Quarto Potere di Orson Welles. Herman J. Mankiewicz, interpretato da un Gary Oldman in stato di grazia, è l’alcolizzato, il proletario del fiorente sistema hollywoodiano degli anni 30, nonché lo sceneggiatore di Quarto Potere. Intorno alla figura storica ed artistica del quale, Fincher sviluppa il suo racconto girato in bianco e nero, con la fotografia di Erik Messerschmidt.
Non solo un film metacinematografico legato al cinema di Orson Welles, ma che ne riproduce anche l’essenza dinamica dei suoi soggetti, dei suoi spazi e del suo tempo; grazie ad un uso della macchina da presa che rende omaggio quindi alle tecniche cinematografiche care ad Orson Welles, come il ricorso continuo a flashback e flash forward. Non manca da parte di Fincher quella vena polemica che ne contraddistingue le opere e che mira alla restituzione della verità. In questo caso quella legata ai delicati e controversi rapporti tra il regista Orson Welles, rappresentato qui con un tocco di ironia sprezzante, e dello sceneggiatore. Con “Mank” il passato torna sullo schermo, non al fine di restituirne la sua affascinate aurea ma di dissacrarla brillantemente.
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Gone girl (2014) con Ben Affleck, Rosamund Pike, Neil Patrick Harris

Un trattato pessimistico sul matrimonio scritto tra le pagine del genere noir. Cosi Fincher porta sullo schermo l’intricata vicenda di un marito Nick Dunne (Ben Affleck) in piena crisi matrimoniale accusato della sparizione della moglie Amy Dunne (Rosamund Pike). La quale, manipolando uomini e prove contro il suo stesso marito prima e contro l’ingenuo ex compagno delle superiori dopo, realizzerà il suo disegno criminale.
L’arte dell’inganno sarà la sottile lama della donna impugnata al fine di recidere e plasmare a suo vantaggio le strutture profonde e psicologiche che abitano gli istinti etici e morali della società. Facendo quindi leva su quei comuni valori umani legati alla difesa delle donne, preserverà di fronte gli occhi del mondo, quindi dell’opinione pubblica, l’immagine dell’onesta e amabile donna americana vittima di violenza. Nascondendo però l’autentica forma della sua identità personale; quella deviata e deviante di un’assassina. Fincher qui offre al suo pubblico il segreto dono della verità, scoprendone il volto elegantemente e mostrandolo in contrapposizione con la menzogna, fedele alleata della superficialità sociale incarnata nei media e nella comunicazione.
Fight club (1999) con Brad Pitt, Edward Norton, Helena Bonham Carter

Capolavoro di D. Fincher e cult assoluto della cultura cinematografica. Un’opera ipnotizzante ed alienante che ha condotto lo sguardo dello spettatore in quel vortice enigmatico e mistico, espressione stessa dell’esperienza cinematografica. Se infatti il significante del racconto è indirizzato verso quei temi cari all’ideologia anarchica e a quelli della libertà del corpo depurato attraverso la violenza, il suo significato si spinge ben più in là.
È infatti il cammino spirituale della conoscenza di sé, traghettato verso l’infernale delirio della psiche, il risultato ultimo della messa in scena. Grazie infatti ad una sofisticata elaborazione del tema del doppio, elemento intrinseco all’immagine cinematografica stessa, l’opera riflette le proiezioni più oscure dell’inconscio; i suoi demoni e i suoi fantasmi. La scissione dell’Io e la sua metamorfosi allora offrono, attraverso la potenza illusoria delle immagini, lo spazio e il tempo reale all’irreale; il corpo concreto alle invisibili ombre dell’anima.
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Seven (1995) con Brad Pitt, Morgan Freeman, Kevin Spacey

L’occhio della m.d.p. di David Fincher rivolge il suo sguardo ancora nella direzione più buia e nascosta dell’animo. Il male, quell’autentico istinto demoniaco celato dietro la maschera dell’uomo. Ed è dietro il volto di Kevin Spacey, nei panni di John Doe, un assassino metodico e razionalmente malato, che Fincher dipinge le melodie dell’oscurità. Qui l’omicidio incontra la bibbia. Saranno infatti i 7 peccati capitali a delineare il piano criminale del serial killer. Attraverso il macabro ritmo dei quali il film si tingerà di sangue e degenerazione. Un noir dal carattere nuovo perché accecante e paranoico, in cui la classica caccia investigativa all’uomo offrirà lo spunto filmico alla rappresentazione vivida dell’inferno, quello della mente.
Zodiac (2007) di David Fincher con Jake Gyllenhaal, Mark Ruffalo, Robert Downey Jr

Un thriller che travalica le leggi del genere e che con quel tipico gusto enigmatico, caro alla poetica di Fincher, ossessiona e proietta la ricerca della verità attraverso l’ignoto. Quello radicato nella profonda dimensione della malvagità. Ancora un serial Killer che infesta la scena, ancora una caccia. Baia di San Francisco, qui il famigerato assassino, per sempre vivo nell’immaginario della storia americana, semina panico e morte.
Ad indagare e seguirne le tracce saranno due poliziotti David Toschi (Mark Ruffalo) e William Armostrong (Anthony Edwards) e due uomini della stampa Paul Avery (Robert Downey Jr) e Robert Graysmith (Jake Gyllenhall), i quali, in nome della giustizia, sacrificheranno i loro destini. Qui Fincher, nonostante la lunga durata del tempo filmico riesce a preservare l’angoscia della morte in ogni istante. Questo grazie all’arte di saperla nascondere e mostrare senza preavviso. Cogliendo quindi la sensibilità dello spettatore all’improvviso offre violenti flash di suspance bagnati dalla crudeltà del realismo, dal sangue delle vittime.
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Classe 1996 , laureato presso la facoltà di lettere e filosofia. Il mio interesse per l’arte, declinata nella forma dell’immagine, ha suscitato in me il desiderio di osservarla e amarla attraverso una continua ricerca e analisi delle sue forme e significati. Influenzato dalla magia del rito teatrale ricerco nel cinema quella stessa capacità di trasportare lo sguardo dello spettatore aldilà della rappresentazione.