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Cinque grandi film di Wes Anderson tra caos e armonia

In attesa dell’uscita di “The french dispatch”, ricordiamo cinque dei capolavori di Wes Anderson dove la caotica ed imprevedibile natura dell’esistenza umana incontra l’equilibrio e l’armonia visiva dell’immagine. Parliamo di I Tenenbaum, Grand Budapest Hotel, Il treno per Darjeeling, Rushmore e Fantastic Mr. Fox…

In attesa dell’uscita di “The french dispatch” in programma per l’anno 2021 ma in data non ancora stabilita dopo essere stata rinviata, ricordiamo cinque dei capolavori di Wes Anderson. Dove la caotica ed imprevedibile natura dell’esistenza umana incontra l’equilibrio e l’armonia visiva dell’immagine. Parliamo di I Tenenbaum, Grand Budapest Hotel, Il treno per Darjeeling, Rushmore e Fantastic Mr. Fox

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I Tenenbaum (2001) con Owen Wilson, Luke Wilson, Gwyneth Paltrow e Gene Hackman

Le forme cristallizzate dal tempo e l’evoluzione soggettiva di chi le abita è lo scontro alla base di una realtà esistenziale frammentata la cui natura ha smarrito il profondo senso di unità tra il corpo e lo spirito. Questo stato di drammatica scissione e di poetica confusione abbraccia la vita dei fratelli Tenenbaum ritrovatisi insieme nella casa dell’infanzia dopo lungo tempo.

L’incontro tra loro darà origine però ad una nuova realtà. Dove l’individualità di ogni personaggio farà i conti con il ricordo di un passato soffocato ed alienato nell’immagine di un presente così trasformato in un’altra dimensione. Da qui l’atmosfera di surrealtà che contraddistingue le opere di Anderson. I colori pop, il particolare uso delle luci e le musiche ipnotiche dei Beatles e dei Velvet Underground. Elementi della rappresentazione che proiettano la realtà in sullo sfondo di una memoria rarefatta ma sgargiante dove l’uomo rincorre un’identità che sembra dover sfuggire tra le promesse del passato.

Grand Budapest Hotel (2014) con Ralph Fiennes, Adrien Brody, Toni Revolori, Bill Murray e Willem Dafoe

Gran Budapest Hotel è il racconto di Monsieur Gustave (Ralph Fiennes) direttore dell’albergo situato tra le montagne dell’Europa orientale. Il quale, insieme al portiere immigrato assunto Zero Moustafa (Toni Revolori), tra imprevedibili incidenti consumati nell’assurdità del racconto, entrerà in contatto con un mondo più vicino alla favola che al reale, se pur in esso radicato. Anderson attraverso l’uso stilistico del dispositivo accompagna visionariamente questo passaggio. Cioè quello tra la sfera della realtà e quella dell’immaginario. Infatti il particolare gioco visivo che la fotografia riproduce eleva le immagini ad una perfezione ed un equilibrio che entra in aperto contrasto con il rocambolesco e reiterato movimento degli eventi umani.

La scenografia diviene quindi qui un personaggio esterno al racconto quanto interno. Perché l’armonia che la caratterizza regna sul caotico universo esistenziale della natura umana pur essendo animata da quella stessa energia che da questa ne deriva. Con Anderson lo stile cinematografico acquisisce dunque una funzione specifica, quella di riordinare all’interno di uno schema estetico ben definito il disordine indefinibile dell’esistenza. Costruendo così le stanze immaginarie del suo albergo che accoglieranno la realtà degli ospiti, dipinge un quadro irreale del reale.

Il treno per Darjeeling (2007) con Jason Schwartzman, Adrien Brody e Owen Wilson

Anderson con il treno per Darjeeling affronta ancora il tema famigliare e la ricongiunzione tra i fratelli. Le strade dei quali, separatesi dopo la morte del padre, si ricongiungono in quella di un treno in corsa verso l’India. Un viaggio spirituale che accoglie in sé la crescita di un rapporto famigliare destinato alla tragica comicità della vita. Dunque i fratelli Whitman, Peter (Adrien Body), Jack (Jason Schwartman) e Francis (Owen Wilson) attraverseranno così le infinite deviazioni imprevedibili dell’esistenza.

Rievocate queste simbolicamente dalla condizione di surreale precarietà ed instabilità che contraddistingue il loro viaggio e lo stesso treno. L’India quindi attraverso le sue immagini radicate in un realismo che rimanda alla vitalità più caotica del mondo rifletterà la dimensione interiore dei tre personaggi. Un’avventura che se pur velata dall’espressività pittoresca e dai colori caldi dell’ambiente cela in sé le sfumature dell’oblio umano; cioè la precarietà di una gioia esistenziale che sfugge al tempo di un dissestato treno in corsa.

Rushmore (1998) con Jason Schwartzman, Bill Murray e Olivia Williams

Seconda opera cinematografica di Anderson, scritta a quattro mani con Owen Wilson, costituisce la premessa e la condizione espressiva di quelli che saranno i caratteri genetici del suo cinema. Da qui infatti deriveranno le prime manifestazioni di una poetica legata all’analisi minimalista dell’animo umano e dei suoi insostituibili vizi che la caratterizzano. Una commedia che apre le porte ad un universo alienato nell’espressione reiterata degli sguardi opacizzati dei suoi personaggi.

Quelli di Max Fisher (Jason Schwartzman) e Herman Blume (Bill Murray) che condivideranno l’oggetto di quello stesso sguardo verso l’amore di un insegnante vedova Miss Cross (Olivia Williams). Lo stile registico rimedierà sin da subito la natura dei personaggi in scena, trasformandola nel tempo e nello spazio di una realtà ossessionata dall’ordine visivo, scheletro e struttura unica delle molteplici identità smarrite tra le maschere fragili della nostalgia.

Fantastic Mr. Fox (2010) con George Clooney, Meryl Streep, Jason Schwartzman, Bill Murray

Primo film animato di Anderson attraverso il quale il regista, con una straordinaria sensibilità umana, rievoca una poetica esistenziale maturata dalla vivissima caratterizzazione espressiva dei suoi personaggi. Al punto in cui anche dal corpo animale è potuta risorgere la medesima vitalità che ha contraddistinto le sue opere. Quindi quello del signor Fox una volpe che insieme alla sua famiglia amata sfiderà la rozzezza e la superficialità umana, quella dei contadini di zona.

Uno scontro che fa dell’animale un piccolo eroe ed un ladro professionista. L’intelligenza e l’amore per l’unità del nucleo famigliare da difendere ad ogni costo offriranno la prova più grande dell’umanità incarnata nella natura animale. Una transizione antropomorfica grazie alla quale il pubblico entra in profondo contatto con l’esistenza del suo piccolo eroe. Identificandosi con questo e proiettandone i medesimi caratteri umani legati alla fragilità, ma unita questa al coraggio.

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