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La decostruzione del caos in tre grandi film di Alejandro Gonzalez Inarritu

I tre migliori film di Alejandro Gonzalez Inarritu che in tre stili cinematografici tra loro differenti affrontano il tema del destino umano come principio d’unità all’interno del caos dell’esistenza…

I tre migliori film di Alejandro Gonzalez Inarritu che in tre stili cinematografici tra loro differenti affrontano il tema del destino umano come principio d’unità all’interno del caos dell’esistenza.

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Revenant (2016) con Leonardo Di Caprio, Tom Hardy e Will Poulter. Il destino umano nel quadro della natura.

Nel gelo delle nevi è il fuoco della vendetta ad ardere le carni ferite di un uomo; Hugh Glass (Leonardo Di Caprio). Il quale spinto dalla disperata ricerca di suo figlio indiano attraverserà il corso ostile della natura e quello della morte. Così che tra gli inviolabili boschi difesi dalle creature che gli abitano e le distese innevate il viaggio di un uomo diviene quello di un eroe. Perché vivo oltre l’umana facoltà di sopravvivere fino a fondersi in quella stessa natura che uccide. Hugh è quindi l’uomo che non si ferma davanti alla consapevolezza della morte ma se ne nutre trasformandola nella forza di una bestia.

Il viaggio odisseico che Inarritu porta in scena è un cammino fatto di immagini. La poesia visiva conquista il racconto; anzi con “The revenant” è il racconto stesso. Qui la linearità della storia tradisce la tradizionale poetica baroccheggiante del regista che ora sembra maturare verso una nuova analisi dell’uomo. Cioè quella legata all’essenzialità istintiva della sua natura come il doppio perfetto di quella animale. Lo stile cinematografico del film attraverso l’uso di riprese che respirano l’ombra della natura traduce questa nuova ricerca

Birdman (2014) con Michael Keaton, Edward Norton ed Emma Stone. Il caos dell’identità.

Riggan Thomson (Michael Keaton) un attore la cui fama risale all’interpretazione passata del ruolo di un supereroe mascherato affronta ora il desiderio di provare al mondo e a se stesso il suo talento. L’idea artistica è quella di mettere in scena l’adattamento del racconto di Raymond Carver “DI cosa parliamo quando parliamo di amore”. Lo spettacolo teatrale sdoppierà così quello dell’esistenza, fino al punto da trasformarsi brillantemente, come non mai nel cinema, in essa stessa.

Il volto che l’attore ora scopre è la libertà di un’identità che fugge tra le maschere dei doppi; la quale cerca quindi l’immagine di se stessa se pur dialogando con quella dell’immaginazione. Lì dove l’individuo si rispecchia davanti il riflesso delle sue infinite realtà. Il film diviene così una rappresentazione pirandelliana della vita ma decorata dalla vivacità di una regia che sa dialogare con l’interiorità dell’uomo. Al punto da divenirne una sua diretta e fluida espressione; senza tagli né stacchi di montaggio. Riproducendo così quella continuità dell’esistenza in cui tutto è in perpetua trasformazione e l’io dell’uomo non smette di divenire. “Birdman” non è un film metacinematografico ma molto di più: è la messa in scena della vita vista dall’interno del cuore dello spettacolo.

Amores perros (2000) con Gael Garcia Bernal, Emilio Echevarria e Goya Toledo. L’unità del caso.

Tre storie indipendenti tra loro costituiscono in chiave squisitamente post-moderna gli atti di “Amores perros”. Ambientanti nello stesso tempo e nella medesima città, Città del Messico. IL primo racconto segue le vicende di due fratelli di bassa estrazione sociale che condivideranno l’amore per la stessa donna. Il secondo racconto è quello di una modella che perde la gamba a causa di un incidente e che documenta la vita di coppia tra lei e il suo compagno. Il terzo racconto d’amore è quello che prova un padre nei confronti di una figlia che non lo riconosce.

Tuttavia tutte le storie sono legate tra loro in maniera accidentale generando così un legame tra l’una e l’altra di cui solo lo spettatore è a conoscenza. Inarritu con Amores perros gioca in maniera autentica con l’esistenza perché ordina il caos dell’umanità riconducendolo all’unità del sentimento. Cioè quello di un amore figlio della fragilità e dell’illusione ma carico di quella romantica luminosità che non abbandona l’essenza dello sguardo umano. Lo stile registico infatti ingrandisce e penetra all’interno di questa luce attraverso l’uso dei primissimi piani. Così da rivelare una certa vitalità anche negli oggetti e negli occhi dei cani. I quali divengono il riflesso di quelli umani. I movimenti di camera invece sono scientificamente sporcati al ritmo convulso degli eventi; lo spettatore partecipa così dell’azione filmica sia sensorialmente che emotivamente.

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