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Storia della letteratura latina (7) – Tito Livio e i suoi capolavori

Dopo Ovidio e la poesia d’amore passiamo ad un altro genere letterario: la storiografia di Tito Livio. Nato a Padova nel 59 a.C., venne in seguito a Roma dove si dedicò interamente alla stesura del suo capolavoro: Ab Urbe condita libri, “Libri dalla fondazione di Roma”

“Non so bene se farò un’opera degna di pregio narrando compiutamente, fin dai primordi dell’Urbe, la storia del popolo romano…”

Inizia così l’opera di uno dei principali storici romani: Tito Livio. Nato a Padova nel 59 a.C., venne in seguito a Roma dove non perseguì la carriera politica ma si dedicò interamente alla stesura del suo capolavoro: Ab Urbe condita libri, “Libri dalla fondazione di Roma”. L’opera era originariamente suddivisa in 142 libri, di cui ci sono conservati solo i libri 1-10 e 21-45. Dei libri perduti abbiamo dei riassunti di età più tarda. Il capolavoro di Livio narrava la storia di Roma dalle sue origini fino alla morte di Druso, figlio di Augusto e della sua terza moglie Livia Drusilla, nel 9 a.C. o forse anche fino alla disfatta di Varo a Teutoburgo avvenuta nel 9 d.C.

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Historia magistra vitae

Per Tito Livio la storia assume una funzione pedagogica ed esemplare per gli uomini, che possiamo suggellare nel motto ciceroniano historia magistra vita. Infatti, attraverso il racconto delle vicende del passato, Livio vuole offrire agli occhi dei contemporanei esempi di virtù da seguire e di comportamenti scorretti da evitare. Come scrive nel proemio: “Questo è soprattutto utile e vantaggioso nello studio dei fatti: poter osservare modelli di vario genere riposti in un’opera illustre, da qui potrai trarre per te e per il tuo Stato esempi da imitare, da qui esempi da evitare (…)”. Ecco allora che la narrazione della storia di Roma diventa anche preziosa occasione di ammaestramento morale.

Così il soldato Orazio Coclite, che sostenne da solo l’attacco degli Etruschi, diviene esempio di coraggio (animus) e valore (fortitudo).

È famosissima la vicenda di Muzio Scevola. Fallito il suo tentativo di uccidere Porsenna, re degli Etruschi, viene arrestato e condotto dinanzi al re. Muzio Scevola gli dice con orgoglio “Sono un cittadino romano, mi chiamano Gaio Mucio. Nemico ho voluto uccidere un nemico e non avrò minor coraggio di morire quanto ne ho avuto ad uccidere: è virtù romana agire e sopportare da forti (et facere et pati fortia Romanum est)”. Porsenna ordina di gettarlo tra le fiamme se non avesse rivelato i piani dei Romani. A quel punto Muzio Scevola, a dimostrazione di quanto aveva detto, pose la sua mano nel fuoco lasciandola bruciare. Porsenna, sbalordito, decise di lasciarlo andare via incolume come ricompensa del suo coraggio.

E come non ricordare Cincinnato, eletto dittatore mentre era intento al lavoro dei campi, in breve tempo sconfisse gli Equi, senza abusare dei suoi poteri, e allo scadere della carica, ritornò a coltivare il proprio orticello. Cincinnato è un esempio di semplicità di vivere (frugalitas) e integrità morale (abstinentia).

Una storia che appassiona

Le vicende narrate da Livio ci coinvolgono, ci sembra di essere lì ad assistere a vicende dagli sviluppi impressionanti. Tito Livio non è tanto interessato ad una minuta ricostruzione dei fatti storici quanto ad una narrazione drammatizzata, avvincente, ricca di pathos e colpi di scena, in cui emergono i sentimenti e le qualità dei personaggi.

È quello che vediamo, ad esempio, con le vicende di Lucrezia. Moglie di Collatino, dopo aver subito violenza da parte di Sesto Tarquinio, uno dei figli di Tarquinio il Superbo, si uccise con un pugnale davanti al marito per vendicare l’onore perduto.

“All’arrivo dei suoi cari le spuntano le lacrime, e alla domanda del marito “va tutto bene?” “no”, rispose, “qual bene infatti rimane ad una donna quando sia perduto l’onore? Nel tuo letto o Collatino, vi sono le impronte di un altro uomo; però solo il corpo è stato violato, l’animo è innocente: la morte ne sarà la prova. Ma datemi la mano e la parola che l’adultero non sarà impunito”. (…) “Si infisse nel cuore un coltello che teneva celato sotto la veste, e abbattutasi morente sulla ferita cadde al suolo”.

Tito Livio e Augusto: amici ma non troppo

Come per tutti gli autori dell’età augustea, ci chiediamo quale sia stato il rapporto con Augusto. Da parte di Tito Livio c’è apprezzamento, consenso al regime, ma mai esaltazione acritica o incondizionata. Vive in un periodo storico spesso celebrato come “età dell’oro” (l’età augustea) ma evidentemente non lo stima poi così tanto, data la nostalgia con cui rimpiange la Roma repubblicana. L’opera storica di Livio non sfocia mai in un elogio del principe, anzi, la sua ammirazione per gli antichi valori repubblicani potrebbe dimostrare un’ostilità verso un tipo di regime monarchico. Tra lo storico e Augusto ci sono tuttavia dei punti di contatto, come il richiamo agli antichi valori morali e religiosi della res publica che il regime augusteo si proponeva di restaurare.

Tito Livio è stato un grande storiografo che ancora oggi ci fa rivivere le imprese, gli eroi e i valori della gloriosa Roma dell’età repubblicana.

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