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Veronica Chessa: “L’arte è l’idea che nasce sfiorando un pensiero”

Veronica Chessa è cresciuta con un padre artista, un pittore, che l’ha immersa in questo mondo “magico” che ha amato innanzitutto per osmosi. Le piace giocare con l’arte, in particolare con le opere del passato. Lo fa attraverso un approccio di tipo surrealista, che le permette di spaziare con la fantasia. “D’altronde nel sogno tutto è possibile”…

Il suo approccio con l’arte nasce con la sua stessa nascita. Veronica Chessa, infatti, è cresciuta con un padre artista, un pittore, che l’ha immersa in questo mondo d’arte che ha amato innanzitutto per osmosi. “Il mio babbo era bravissimo”, ricorda. Poi gli studi, sino alla laurea all’Accademia delle Belle Arti di Firenze con una tesi in Estetica.

Nel 2004 si trasferisce a Fano, dove attualmente vive e lavora. Da qui tanti progetti e mostre in giro per l’Italia, tra Toscana e Sardegna, sino ad arrivare a Roma, e all’attuale collaborazione con la Galleria Afnakafna. Le piace giocare con l’arte, in particolare con le opere del passato. Lo fa attraverso un approccio di tipo surrealista, che le permette di spaziare con la fantasia. “D’altronde nel sogno tutto è possibile”, aggiunge.

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Cosa è l’arte per te? 

Sono cresciuta con un padre artista, questo mi ha insegnato ad avere un profondo rispetto per l’arte e un amore totale verso questo “mestiere” al quale non saprei rinunciare. Quando ero bambina e dicevo a testa alta che mio padre come lavoro faceva il pittore, la domanda che ne seguiva era sempre la stessa: “Fa soltanto il pittore?”. “Sì, era il suo unico mestiere”, replicavo. Ovviamente ne scaturivano tutta una serie di congetture, ma a me non importava perché il mio babbo era bravissimo. L’arte per me deve suggerire e non dire completamente, è l’idea che nasce sfiorando un pensiero, è il regno delle libere associazioni che indagano la realtà portando alla superficie un’intuizione. L’arte ha il compito di aprire uno spiraglio coinvolgendo lo spettatore sia a livello intellettuale che emotivo.

Nelle tue opere giochi con l’arte e con le sue massime espressioni, tra grandi nomi e stili: ci sono dei limiti invalicabili che l’arte, o almeno la tua, non deve superare?

Amo giocare con l’arte, in particolare con le opere del passato, interpretandole attraverso una velata ironia, che diventa lo strumento per collocare l’opera su un altro piano. Infatti l’opera del passato può dire qualcosa di nuovo senza essere snaturata dal momento che diventa qualcos’altro. Penso che una ricerca in questi termini non abbia bisogno di porsi dei limiti perché non entra in conflitto con l’opera, ma lavora in parallelo.

Nelle tue opere parrebbe sia spesso il background il reale protagonista, o almeno coprotagonista. E’ un mio errore?

Il passato è una fonte di grande ispirazione e in esso trovo molti riferimenti a livello iconografico: adoro la scuola fiamminga soprattutto per quanto riguarda lo studio del ritratto, ho preferenza per le tinte fredde ed i colori nitidi e brillanti del nord, lo studio estremo dei particolari mi affascina e ne traggo da sempre spunto. Nelle mie opere riporto alla luce sentori del passato attraverso un approccio di tipo surrealista, che mi permette di spaziare con la fantasia. D’altronde nel sogno tutto è possibile.

I tuoi personaggi spesso si assomigliano tra loro. Quando e come nasce questa “matrice”?

Da alcuni anni lavoro ad un progetto che gravita intorno al celebre ritratto di Cecilia Gallerani, ”La dama con l’ermellino” di Leonardo da Vinci. Nel 2010, in occasione di un concorso ispirato al rinascimento ho interpretato l’opera di Leonardo in chiave contemporanea, alterandone i lineamenti del volto e tingendo l’ermellino di un rosa scintillante. Da questa “matrice” nel corso del tempo sono nate più di cento versioni realizzate in piccolo formato in cui, Cecilia Gallerani, la protagonista, è soggetta a continue trasformazioni identificandosi con le tante donne che le somigliano, con la storia dei luoghi in cui ha vissuto e infine con me.

Tre delle tue opere preferite

L’ermellino sintetico 2010 (cm. 70×100). Questa opera, che porta con se lo spessore del passato, inaspettatamente mi ha aperto tante strade e con me ha vissuto tante storie, tra cui la personale a Villa Medici del Vascello, l’elegante dimora, dove visse la musa di Leonardo: Cecilia Gallerani.

Lunedì alla Grande Jatte, 2011 (cm 50×90). Nel fermo immagine in cui cito l’opera di Seurat, la Grande Jatte ci appare semi-deserta, perché la domenica è ormai trascorsa. Terminata di dipingere a pochi giorni dalla nascita del mio primo figlio, ricordo ancora la fatica e la serenità mentre lo pitturavo.

Sexi matrioska. 2013 (50×50) La matrioska è un soggetto che in passato mi sono divertita ad affrontare varie volte. Iconograficamente versatile, da contenitore di cose, offre tanti spunti per le interpretazioni. La sexy matrioska, tra tutte, è la mia preferita perché si distacca dagli stereotipi mostrandosi in modo audace.

Progetti per il futuro (covid19 permettendo)?

Per il prossimo anno ho in programma di proseguire la serie sull’Ermellino sintetico creando una nuova collezione ambientata in Maremma, il progetto è pensato per una personale “site specific” in uno dei luoghi più suggestivi dell’Argentario, convertito a spazio espositivo per l’arte contemporanea. A fine novembre parteciperò ad una collettiva molto interessante presso la fondazione Siotto di Cagliari, curata da Roberta Vanali, dal titolo “Inferno” in occasione dell’anniversario per la morte di Dante. Inoltre continuo con gran piacere la mia nascente collaborazione con la galleria Afnakafna che per gennaio propone una collettiva sulla Matrioska.

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