Daria Palotti: “L’arte è un atto di pace. Per se stessi e per gli altri”
Daria Palotti ha da sempre intrecciato l’attività artistica con quella pedagogica. Dove una influenza l’altra, contaminandosi e arricchendosi vicendevolmente. Perché nell’artista l’io bambino dialoga con l’io adulto, affinché si rafforzi il primo e perché si liberi il secondo…

Diplomata in Scenografia all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, Daria Palotti ha da sempre intrecciato l’attività artistica con quella pedagogica. Dove una influenza l’altra, contaminandosi e arricchendosi vicendevolmente. Perché nell’artista l’io bambino dialoga con l’io adulto, affinché si rafforzi il primo e perché si liberi il secondo. Per Daria l’immaginario romantico, quello delle fiabe, l’adolescenza e l’infanzia, le metamorfosi della femminilità sono maschere e mutazioni. O sfaccettature di sé allo specchio, a volte polveroso e rivelatore, altre distorto e beffardo. Un modo non solo per raccontare se stessi, ma anche per descrivere l’umanità, tra contraddizioni e bellezze.
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Cosa è l’arte per te?
L’arte per me è salvifica. Come il bosco. Un atto di pace. Per se stessi e per gli altri. Mi commuove guardare le persone raccolte e concentrate nel fare arte. Sembra come se dai piccoli movimenti che compiono, dipendesse il mondo, tanta è l’intensità. La commozione viene dall’insensatezza del dipingere, suonare Bach, scrivere una poesia, mentre tutto si sgretola.
A quando risale, e cosa disegnasti, il tuo primo approccio con l’arte?
Il mio primo approccio all’arte lo devo a mio babbo, artista pazzo, entusiasta e poetico. E ricordo il mio primo disegno consapevole. Era il profilo di una bimba con tantissimi capelli / contenitore. Il profilo occupava una piccolissima parte del foglio a sinistra, il resto era occupato da questa enorme massa di colori, capelli, fiori e segni. Sono passati quarant’anni, ma lo ricordo come mio primo disegno “artistico” intenzionale, e credo di ricordare che avevo 3 anni e mezzo.
Perché gli occhi sembrano sempre così importanti per te? Che ruolo hanno nelle tue opere. E quale nella tua vita?
Per anni ho disegnato, dipinto e modellato occhi chiusi. Ora li faccio anche aperti, mi piace troppo dipingerli. Gli occhi chiusi per me sono raccoglimento, sogno, presenza. Sono miope. E guardo dentro di me più che fuori. Forse per paura e protezione. Non mi svegliate, voglio sognare.
I tuoi quadri nascono da pensieri reali, da sogni o da incubi?
Da tutto, sogni, incubi e realtà filtrata dal mio sentire. La realtà, se esiste, non esiste in arte, è sempre interpretata dall’artista. Sono sempre autoritratti interiori, anche se disegno la luna, un cervo, una bambina o una formica.
Tre delle tue opere a cui sei più affezionata e perché.
Premetto che è difficile sceglierle per l’opera in sé e allora la scelta dipende dall’intenzione, dalla storia che le fa nascere o dal contesto in cui si raccontano.
Mary Shelley perché è collocata in un giardino bello e pubblico del mio paese, intitolato proprio a Mary.
Terracotta “Ofelia” perché è la mia prima scultura grande… e perché è stata esposta in mostre belle e importanti. ( “Arti insolite” curata da Carlo Alberto Arzelà, e “Eco sex” al MACRo curata da Rossana Calbi) “Ofelia”, terracotta policroma 160 x 60 cm
Le “Alice” perché sono i quadri che mi hanno ben impegnata, mentre tutto era sospeso, nel primo confinamento… (realizzati per la mostra “Tea Time” per Afnakafna gallery, Roma) e poi questo “Giardino segreto” perché in questo periodo mi sento così.. (sempre per una mostra da Afnakafna).
Comunque nei miei pensieri e intenti c’è di migliorare e fare cose più grandi e belle.
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Di origini salentine, trasferito a Roma per motivi di studio. Ho imparato a leggere a 2-3 anni. Per scrivere ho dovuto aspettare i 4. Da allora non mi sono più fermato. La scrittura è la mia vita, la mia conoscenza, la mia memoria. Nonché il mio lavoro. Che mi aiuta a crescere ed imparare. Per non sentirmi mai arrivato, per essere sempre affamato di conoscenza.
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