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Il processo ai Chicago 7: una parata di stelle per un film che non decolla

Il film Il processo ai Chicago 7, scritto e diretto da Aaron Sorkin, ha tutte le carte in regola per essere premiato agli Academy Awards, a fronte delle sei candidature. La sceneggiatura sembra perfetta, eppure il film manca di una forte struttura drammatica. E non decolla.

Si avvicina l’attesissima notte degli Oscar, che si terrà il 25 aprile 2021 al Dolby Theatre di Los Angeles. Tra i candidati troviamo ‘Il processo ai Chicago 7’ con ben 6 nomination. Il film, scritto e diretto da Aaron Sorkin, ha tutte le carte in regola per essere premiato agli Academy Awards. La sceneggiatura sembra perfetta, eppure il film manca di una forte struttura drammatica. E non decolla.

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Il cast stellare

La pellicola narra del processo a sette attivisti (i cosiddetti Chicago Seven), accusati di aver causato lo scontro tra manifestanti e Guardia Nazionale in occasione della convention del partito del Partito Democatico. Tra i protagonisti troviamo una vera e propria parata di stelle: Eddie Redmayne, Yahay Abdul- Mateen II, Sacha Baron Cohen, Joseph Gordon Lewitt, Micheal Keaton, Frank Langella, John Carrol Lynch, Mark Rylance, Alex Sharp, Jeremy Storng. Il processo ai Chicago 7 è presente sulla piattaforma Netflix, durata 129 min.

La trama del film

Chicago 1968, sette esponenti della sinistra giovanile vengono scelti come capro espiatorio per aver cospirato le proteste avvenute durante la convention democratica. Ad essere accusato inspiegabilmente insieme a loro, Bobby Seale (Yahay Abdul- Mateen II), co-fondatore del movimento Pantere Nere, che in occasione di quella giornata era stato solo 4 ore nella città di Chicago. Inizia così quella che sembra essere una vera e propria pantomima di processo, tra false testimonianze, avvocati corrotti e un giudice palesemente di parte e marcatamente razzista, che fa dubitare sulle sue stesse decisioni.

La nostra recensione (con piccolo spoiler)

Il film di Aaron Sorkin, che ha scritto e diretto film di successo come ‘The Social Network, Steve Jobs, Molly’s Game, solo per citarne alcuni, ha una sceneggiatura strutturalmente impeccabile. Eppure la satira del regista si spinge oltre la morale stessa, finendo per snaturare il fatto di cronaca realmente accaduto e farlo diventare mera finzione. Un caricatura esasperata degli eventi e dei personaggi. Nonostante gli undici personaggi siano delineati sapientemente dalla penna del regista, la pellicola perde di drammaticità (PICCOLO SPOILER!) con la scomparsa a metà del film di un personaggio centrale.

Due terzi del film sono ambientati all’interno di un’aula di tribunale, dove il verdetto è già scritto nero su bianco. Da una parte ci sono i buoni, dall’altra i cattivi. Attraverso lo sguardo paternalista del regista il pubblico sa già da che parte stare, non c’è spazio per il libero arbitrio. Così il film, comunque interessante mix tra commedia e dramma, manca di complessità. E ti lascia con un po’ di amaro in bocca.

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