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Il dipinto del 1953: Golconda di René Magritte è una critica all’alienazione umana?

Golconda è uno dei capolavori di René Magritte, eseguito nel 1953 e oggi conservato nella Menil Collection di Houston. Ma cosa si nasconde dietro questa famosissima opera?

Golconda è uno dei capolavori di René Magritte, eseguito nel 1953 e oggi conservato nella Menil Collection di Houston. Il nome dell’opera rimanda all’omonima città indiana. Questa, per la presenza di enormi giacimenti di diamanti, divenne in passato sinonimo di incredibile ricchezza presso gli europei, per poi essere abbandonata.

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Analisi dell’opera

La tela raffigura una serie di uomini sospesi a mezz’aria e vestiti in maniera assolutamente identica. Si differenziano nei volti e nella direzione del loro sguardo, hanno dimensioni diverse in base alla loro distanza dall’osservatore. E non si sa se stiano cadendo dal cielo o levitando verso l’alto. La composizione si staglia su uno sfondo azzurro quasi bidimensionale, mentre nella parte bassa è possibile vedere delle tipiche case belghe.

Le interpretazioni e la dichiarazione di Magritte

Qualcuno ha visto in questa rappresentazione una critica all’omologazione, alla standardizzazione, alla meccanicità della routine. Mettendo il luce il rapporto tra uomo e lavoro che sopprime le peculiarità del singolo a favore del progresso. Magritte però non ha mai fornito una interpretazione univoca di Golconda lasciando dunque allo spettatore la libertà di farsene una propria. In merito disse soltanto, per la rivista La révolution surréaliste, che “un oggetto non possiede il suo nome al punto che non si possa trovargliene un altro che gli si adatti meglio”.

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